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 2004  dicembre 03 Venerdì calendario

CONTORNO Salvatore. Palermo 28 maggio 1946. Mafioso. Detto anche Coriolano della Floresta, fu iniziato a Cosa Nostra nel 1975, entrando a fare parte della famiglia di Santa Maria di Gesù

CONTORNO Salvatore. Palermo 28 maggio 1946. Mafioso. Detto anche Coriolano della Floresta, fu iniziato a Cosa Nostra nel 1975, entrando a fare parte della famiglia di Santa Maria di Gesù. Di professione macellaio, si occupò di contrabbando di sigarette e poi di droga, con i cugini Grado. Negli anni Settanta fu mandato in soggiorno obbligato in provincia di Verona. Dopo una condanna a ventisei anni in contumacia per il sequestro di un industriale, visse la latitanza a Palermo. Fedelissimo di Stefano Bontate, il 25 luglio 1981 scampò ad uno spettacolare attentato tesogli dai clan rivali a Brancaccio. Divenne un informatore di Ninni Cassarà che lo chiamava, in codice, Prima Luce. Fu arrestato il 23 marzo del 1982 a Roma, mentre studiava il piano per uccidere Pippo Calò e vendicare così i suoi molti parenti uccisi dai corleonesi e dai loro alleati. Nell’ottobre del 1984 cominciò a collaborare con i giudici, completando le dichiarazioni rese da Buscetta. Nel 1987, alla conclusione del maxiprocesso, fu condannato a sei anni. Dopo la testimonianza al processo per la Pizza Connection, la giustizia americana gli concesse lo status di collaboratore. Nel 1989 fu arrestato nei pressi di Palermo, mentre si pensava fosse in America. Nell’estate di quell’anno nacque così la vicenda delle lettere anonime, probabilmente scritte da un addetto ai lavori, poi soprannominato il corvo di Palermo. In queste lettere si accusavano i poliziotti e i magistrati più impegnati nella lotta alla mafia di utilizzare l’ex killer per uccidere i capi dei corleonesi. Nel 1997 nuove polemiche sul ruolo svolto in passato da Contorno hanno alimentato le voci di una possibile revoca del programma di protezione. «Uno dei pentiti ”storici” dell’Onorata società [...] Uscito dal programma di protezione dal ’97, titolare, sotto falso nome, di un´impresa edile assieme al figlio, ”Coriolano della foresta” (come veniva chiamato quando era ancora il braccio destro di Stefano Bontade) è finito nuovamente nei guai per un’estorsione al titolare di una tintoria. [...] In precedenza, polemiche e accuse a non finire: dall’ipotesi, mai provata, di un killer al servizio dello stato al suo ruolo, mai chiarito, nella vicenda del ”Corvo”: i veleni a palazzo di giustizia di Palermo.[...]» (Massimo Lugli-Franco Viviano, ”la Repubblica” 3/12/2004). «Venne arrestato per la prima volta a Roma da un funzionario che avrebbe fatto carriera, Nicola Cavaliere [...] Un colpo di fortuna e di bravura. Con un maresciallo allora famoso, Carlo Bertolini, curiosamente soprannominato ”Tassan Din”, che seguendo la traccia di un macchinone blindato portò i suoi uomini e il suo capo in una fattoria, davanti ad un ”picciotto” da macchietta cinematografica, tarchiato e muto come sa fare un vero mafioso. Pronto ad ostentare sorpresa mentre gli agenti trovavano in garage due auto blindate, due utilitarie, una ”Smith & Wesson”, un fucile a canne mozze, pallottole di ogni calibro, due ricetrasmittenti e, fra i cavalli di una scuderia, il tesoro: 150 chili di hashish, due chili di eroina, 35 milioni di lire in contante, documenti fasulli. E lui zitto sulla sua identità di soldato di Cosa Nostra orfano di ”padrino” perché Totò Riina gli aveva appena ammazzato Stefano Bontade, il capomafia al quale faceva da autista. Ma Cavaliere, ancora in attesa degli esami sulle impronte, s’attaccò al telefono chiamando a Palermo il suo compagno di corso Ninni Cassarà. E il segugio di Giovanni Falcone capì immediatamente di chi si trattava, volando a Roma un’ora dopo. Comincia così la nuova vita di un pentito chiamato ”Prima luce” perché Contorno, pur col suo fare rozzo e spaccone, con la sua ”annacata” da mafioso doc, ma con preziose rivelazioni illuminò per primo pezzi di un mondo chiuso a riccio. Ammettendo l’arruolamento alla famiglia ”perdente” di Santa Maria di Gesù e raccontando l’agguato tesogli dai killer di Riina nel ’81, un attentato al quale era miracolosamente sfuggito volando da una macchina in corsa e guadagnandosi l’appellativo di ”Coriolano della Floresta”, un po’ come il protagonista dei ”Beati Paoli”. In fuga da una Palermo infida dove con i soldi della droga s’era appena costruito una villa da nababbi all’ingresso della città, ”Coriolano”, come tanti boss in quel periodo, aveva dovuto abbandonare la terra assaltata dai Corleonesi. E s’era arroccato in quella periferia romana tramando per uccidere ”don” Pippo Calò, l’’ambasciatore” di Riina in contatto con la banda della Magliana. Che fosse una miniera di notizie Cassarà lo capì subito. E con Falcone riuscì a trasformarlo in un pentito capace di incastrare 200 boss, pronto ad essere letteralmente ”benedetto” in un incontro a Roma da Tommaso Buscetta nei panni del ”padrino”, con tanto di baciamano e picciotto inginocchiato. Buon viatico per un contatto americano ed un inserimento nel programma di protezione dei ”marshall” con trasferimento oltreoceano per testimoniare al processo chiamato ”Pizza connection”. Sembrava davvero che ”Coriolano” avesse cambiato vita, mentre la vendetta s’accaniva sulla sua famiglia con un sanguinario stillicidio di 40 parenti e amici uccisi per ritorsione. Invece, nella primavera del ’89, un altro degli ”sbirri” più capaci ed impegnati sulla trincea antimafia, l’allora capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, chi si ritrova in una villa-bunker covo di boss armati fino ai denti? Proprio Contorno, materializzatosi in una cabina telefonica mentre chiamava dalla Sicilia l’allora funzionario della Criminalpol Gianni De Gennaro [...] Una pagina mai del tutto chiarita. E restò il sospetto di una sua partecipazione alla mattanza di 18 ”corleonesi”. Si parlò di ”coperture” eccellenti. E un ”corvo” distribuì veleni anche contro magistrati e poliziotti sul ritorno di ”un killer di Stato”. Né lui ha poi fatto granché per smentire gli scettici, beccato nel ’97 per un traffico di stupefacenti, condannato a 6 anni che non ha mai espiato [...]» (Felice Cavallaro, ”Corriere della Sera” 3/12/2004). «Tutta la vita ha trascorso tentando di mettere distanza tra lui e le sbarre del carcere. Ha fatto entra ed esci da quando era ragazzino e batteva i giardini di Ciaculli e Croceverde, ora a razziare i beni abbandonati nelle campagne, ora a trovare qualche soldo da investire nelle sigarette di contrabbando. Questo era il "business" degli Anni ’50 e ’60. E lui, Contorno Salvatore [...] diploma di terza media (forse), ma fegato da vendere e grande fame da saziare, si agitava parecchio per entrare nel giro. I "grandi", gli adulti mafiosi, osservavano e registravano. Ogni tanto dovevano ricorrere alla voce grossa per frenare l’eccessiva virulenza del giovane "saccunaru" (ladro di campagna), vero padrone del territorio della borgata, ma - alla fine - non potevano che esser contenti per come stava riuscendo la "formazione" di Totuccio. Non era ancora maggiorenne (allora ci volevano 21 anni), quando si conquistò il nomignolo di "Coriolano", personaggio di un feulleiton popolare coevo dei Beati Paoli. Un omaggio alla "professionalità" di Totuccio: coraggio, rapidità, intuito ed ineguagliabile fiuto del pericolo. E’ così, Totuccio. Tutto istinto e riflessi: se gli arrivi alle spalle, lui ti sente. Se è ancora vivo, lo deve al suo istinto, specialmente dopo che si è fatto pentito e sulla sua testa i corleonesi posero una taglia che arrivò anche al mezzo miliardo di lire. Certo, non sarebbe mai potuto arrivare alla cima della piramide di Cosa nostra: poca autonomia di pensiero, scarsa capacità di pianificazione strategica. No, Totuccio è uomo d’azione, perfetto per il giorno dopo giorno e per il ruolo di gregario che sa proteggere al meglio il capo. Dopo il pentimento, mitizzato da un presunto incontro con don Masino Buscetta, l’altro grande pentito ispiratore del "salto della quaglia" di "Coriolano", Totuccio fu davvero l’uomo più ricercato di Palermo. A cercarlo erano fior di killer del calibro di Pino Greco ("Scarpuzzedda"), Filippo Marchese detto "mulinciana" (melanzana), Pino Lucchese e Mario Prestifilippo, il gruppo di fuoco che aveva portato avanti la "mattanza" mafiosa degli Anni’80. Ma "Coriolano" fuggiva sempre, più veloce di una lepre. Qualche volta rispondeva al fuoco (Greco si salvò grazie ad un giubbotto antiproiettile), qualche altra si limitava a scansare le bombe, come quella volta che - fuggiasco a Roma dove cercarva il boss Pippo Calò per ucciderlo - si salvò dal tritolo perchè mise in moto l’auto con un telecomando a distanza. [...] A Palermo si ricorda ancora il suo ingresso nell’aula bunker, il giorno della testimonianza. Dalle gabbie, uomini inferociti gli gridavano: "Infame e sbirro!". Ma lui, per nulla intimidito, replicava: "Infami siete voi che avete tradito Cosa nostra". Già, perchè Totuccio non ha mai rinnegato la favoletta della mafia nata per aiutare i poveri. Quindi cominciò a sciorinare uno "slang"» tanto incomprensibile da indurre i giudici a ricorrere all’ausilio di Santi Correnti, esimio linguista dell’università di Catania. Non lo intimidì neppure l’ironia di don Michele Greco, il "papa", che lo derise ricordandogli le allusioni della borgata sulla madre. Totuccio replicò, descrivendo il "padrino" come uno "sbirro", figlio di un mafioso tanto inaffidabile da aver denunciato l’autore di un omicidio. "Uno così - commentò Coriolano - non poteva neppure entrare in Cosa nostra". Ad un certo punto della stagione antimafia, Totuccio fu "prestato" alla polizia americana. Se lo ricordano ancora, a Brooklyn, quel matto che andava in giro con l’immancabile camicia "hawaiana" ed una improbabile parrucca dai riccioli rosso tiziano. Tornò in Italia e gli fu consigliato di cambiare "look". Ciò che non gli riuscì (e forse non gli riuscirà mai) di cambiare, fu la vocazione a mettersi nei guai. Nell’89 lo troviamo impelagato in una oscura storia di omicidi nel triangolo di Bagheria. Lui, Totuccio, era dato per "superprotetto" negli Usa e, invece, dormiva in una roulotte sul lungomare di Trabia, con la pistola sotto al cuscino. Sospettato di avere a che fare con qualche cruenta eliminazione in zona, fu scagionato da accurate ed inequivocabili perizie balistiche. Chi lo aveva riportato a Palermo? Lui disse che era stato l’Alto commissario Domenico Sica, una lettera anonima molto interessata e sospetta, invece, indicava come "mandanti" fior di personaggi dell’Antimafia del calibro di Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro.
Sono in molti ad odiare Salvatore Contorno, anche in ambito istituzionale. Oscuro, l’attentato (fallito) di cui rimase vittima mentre percorreva in auto la strada di Formello (aprile ’94). Il telecomando fece cilecca, ma l’episodio entrò a pieno titolo nella cronologia della strategia stragista di Cosa nostra, iniziata nel ’92, proseguita con le bombe del ’93 e con la mancata ecatombe allo stadio Olimpico (ottobre ’93). A Palermo l’odio per "Coriolano" si può cogliere ancora nell’ironia ostentata da qualche ristoratore che espone il seguente cartello: "In questo locale non si servono Contorni"» (Francesco La Licata, "La Stampa" 3/12/2004).