Varie, 2 dicembre 2004
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LO CICERO Andrea Catania 7 maggio 1976. Giocatore di rugby. Pilone. Gioca nel Racin Parigi. Nel dicembre 2004 è diventato il tredicesimo italiano convocato dai Barbarians • «Pilone e pompa cardiaca della nazionale italiana di rugby [
LO CICERO Andrea Catania 7 maggio 1976. Giocatore di rugby. Pilone. Gioca nel Racin Parigi. Nel dicembre 2004 è diventato il tredicesimo italiano convocato dai Barbarians • «Pilone e pompa cardiaca della nazionale italiana di rugby [...] Barone, catanese, appassionatissimo di vela, impegnato da sempre nel volontariato [...]» (Stefano Semeraro, ”La Stampa” 2/12/2004). «In Galles, dove si dice che ogni abitante è nato o al massimo è stato concepito su un campo da rugby, sono convinti che i ”piloni” una volta passato per l’ultima volta il pallone vadano dritti in paradiso perché loro l’inferno l’hanno già conosciuto su questa terra. In mischia. Gente strana i piloni, votati al sacrificio, una vita in prima linea, sempre sul fronte per aprire la strada della gloria alla cavalleria. Forti, grossi e sconosciuti, quelli che spostano il pianoforte e poi sono gli altri a suonarlo. Mai personaggi, fino all’esplosione di Andrea Lo Cicero Vania da Catania, rampollo di una dinastia di baroni siciliani, pilone e personaggio al punto di diventare nel mondo l’immagine del rugby italiano. [...] Lui personaggio lo è diventato a sua insaputa. La Jaguar lo ha eletto proprio testimonial e agli allenamenti ci va con una fiammante spider blu. Ne ha fatta di strada dal giorno in cui a Catania scese da una canoa canadese, il suo primo amore, perché si accorse che per continuare a raccogliere successi pagaiando il cantiere avrebbe dovuto costruirgli un’imbarcazione di due taglie più grande. E scelse il rugby: ”Il rugby aveva valori e motivazioni che si plasmavano addosso al mio carattere”. E sì perché nel rugby il primo fondamentale si chiama ”sostegno”. Se un compagno si trova senza sostegno il pallone muore lì. Lo Cicero quella parola la conosceva bene: ”Sono cresciuto facendo il volontario della Croce Rossa: sostegno alle popolazioni in difficoltà, due missioni importanti nella mia terra colpita da colate laviche, il terremoto di Lentini e i suoi morti, l’alluvione in Piemonte. Esperienze che ti lasciano dentro un segno indelebile”. Sostegno, fino al giorno in cui è stato lui a chiederlo, ad implorarlo a chi gli stava intorno, fino al buio della depressione e del mondo che non voleva più saperne di essere caricato sulle sue spalle forti di pilone. [...] la richiesta di aiuto ad un neuropsichiatra, la lunga terapia fatta di silenzi e solitudine, il rugby lontano e quello vicinissimo. [...] ”Mi sono sentito tradito da persone a cui avevo offerto la mia fiducia. Ero in Francia a giocare con il Tolosa, la Juventus del rugby. Un sogno per qualsiasi giocatore. Poi qualcosa non è andato come doveva, ho capito che chi mi aveva portato là faceva solo i propri interessi, la solitudine mi ha stritolato. Mi sono ritrovato senza una squadra, solo contro gente che mi giudicava un codardo”. La nazionale come terapia: ”Devo molto a John Kirwan ed al gruppo azzurro: in fondo non giocavo in nessun campionato, la domenica la passavo a correre sull’argine del Tevere per tenermi in forma eppure lui continuava a convocarmi in azzurro. Mi è servito molto per capire che potevo ancora dare molto. E pian piano sono tornato quello di prima, migliore di prima”. La luce che torna ad accendersi nel momento in cui si spegne per sempre per Marco Pantani. La notizia trafisse il grande cuore del pilone: ”Ho pensato quanto sia importante l’ambiente che ti circonda. Io ho avuto la fortuna di capire chi mi stava sfruttando e di avere intorno persone disinteressate, lui poverino non ha avuto questa possibilità”. I bacchettoni britannici il giorno dopo averlo visto segnare la meta agli All Blacks lo hanno definito il ”nostro eroe europeo”. Lui ha gonfiato il petto ed è tornato indietro da Londra con un bagaglio di esperienza impossibile da svuotare. [...]» (Valerio Vecchiarelli, ”Corriere della Sera” 10/1/2005).