varie, 28 ottobre 2004
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ALVIANI Getulio Udine 5 settembre 1939. Artista. «Uno dei maggiori protagonisti della ricerca artistica degli anni Sessanta indicata come Arte Programmata e Cinetica
ALVIANI Getulio Udine 5 settembre 1939. Artista. «Uno dei maggiori protagonisti della ricerca artistica degli anni Sessanta indicata come Arte Programmata e Cinetica. [...] nel corso degli anni si è interessato non solo all’arte visiva ma anche alla grafica, alla teoria, all’architettura e al design, confrontandosi con il ruolo di curatore, collezionista e, tra il 1981 e il 1985, con quello di direttore del Museo d’arte moderna di Ciudad Bolivar, in Venezuela. [...] ”Il mio interesse si concentra soprattutto verso la progettazione che, come la conoscenza umana, è basata principalmente sull’occhio grazie al quale apprendiamo circa il 90% delle informazioni. Il procedimento che porta a progettare un ago piuttosto che una porta-aerei segue sempre la stessa prassi e il mio approccio al progetto è quindi sempre lo stesso, sia che si tratti di progettare uno spazio, un evento o una vita. Per questo motivo affronto l’arte pura come l’architettura. L’arte pura è solo più libera, perché ti permette di andare dove vuoi, mentre l’architettura ha bisogno di essere ancorata a una base. [...] La ricerca si svolge sempre nello stesso modo. L’universo è formato da sette elementi e tutto dipende da come sono combinati. L’apporto dell’uomo è di accostarli in maniera inedita, in modo da individuare combinazioni più innovative e progressive. La mia attitudine è quindi di ordine scientifico poiché nel mio lavoro cerco di ampliare il campo del percettibile; parto dagli occhi per andare direttamente al cervello. [...] Negli anni `60, per esempio, insieme a Germana Marucelli ho realizzato, quasi per gioco, degli esperimenti nell’ambito della moda. Germana ha fatto stampare un mio disegno su tessuti di diverso tipo constatando che alcuni ne esaltavano la staticità, altri il movimento. Oggi se mi richiedessero di progettare altri indumenti cercherei di individuare la possibilità di preservare il corpo dalle oscillazioni termiche senza l’ausilio degli abiti. Il nudo rappresentato nel lavoro Grado Zero o Bat(h)ape che ho realizzato negli anni `60 è il punto di partenza di questo studio. [...] Ho vissuto la mia infanzia in Friuli e sono sempre stato molto attratto dai paesi vicini come la Slovenia, la Jugoslavia di allora. Lo zio che mi ha allevato era austriaco e così ho maturato una propensione verso la Mitteleuropa che mi attraeva più dello sfavillare delle luci di Parigi. Ho sempre pensato che la Mitteleuropa fosse il fulcro della cultura che è nata proprio nelle zone vicine a quelle in cui sono cresciuto, mi riferisco alla valle del Danubio, che va dalla Germania fino agli stati dell’Europa orientale. Quegli stati mi attraevano anche perché era molto difficile arrivarci, passare il confine per andare a Lubiana da Udine (dove vivevo), era un’impresa. [...] Quando ho iniziato a lavorare - era la fine degli anni Cinquanta - la tecnologia cominciava a mostrare tutte le sue potenzialità. Noi che credevamo nella sollecitazione del cervello attraverso la possibilità di allargare il campo del percettibile, vedevamo nella tecnologia una grande risorsa. Oggi abbiamo una tecnologia avanzatissima che ci permette di comunicare in tempo reale con tutto il mondo, ma che viene sotto-utilizzata per scopi infimi, manipolata per avallare scelte e operazioni catastrofiche. E non posso non pensare a quanto sta accadendo oggi e che sta stravolgendo il mondo. Il feticismo delle immagini ha eroso la capacità critica, che è fondamentale per la crescita dell’uomo. Max Bill diceva che la vera forza di un artefice è la sua forza critica, che deve essere indirizzata prima di tutto verso se stesso. Una forza che deriva dell’acutizzazione dell’occhio e del cervello e che nasce dal rispetto per le cose, tutte le cose del mondo» (Tiziana Casapietra, ”il manifesto” 27/10/2004).