Varie, 31 luglio 2004
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Mcgrath Patrick
• Londra (Gran Bretagna) 7 febbraio 1950. Scrittore • «[...] Cresciuto nel più grande manicomio criminale inglese, diretto dal padre psichiatra, dove da piccolo giocava a scacchi e a pallone coi reclusi, McGrath, sposato con l’attrice Maria Aitken, vive [...] a New York, ”il più romantico ed elettrizzante luogo al mondo”, a cui col trittico de La città fantasma rende il più tenebroso degli omaggi. [...] ”[...] Sono cresciuto in un ambiente ordinato e tranquillo, perché così era l´atmosfera del manicomio criminale di Broadmoor. Gravitavamo intorno ai pazienti, che non erano mostri, come li descrivevano i giornali, ma persone strane e simpatiche. Però evidentemente è stato un luogo stimolante per il mio lavoro. Mi ha sempre affascinato il modo in cui l’essere umano si confronta patologicamente con le proprie emozioni e la propria sessualità. Scrittori e psichiatri dividono un terreno comune, e io ho avuto la fortuna di crescere tra gli psichiatri e i pazzi. stato il mio interesse per le patologie dei sentimenti a plasmare il mio mondo fantastico [...] Wilde, Poe, Stevenson, Melville. Irrinunciabili. Per non parlare di Conrad: Cuore di tenebra è la più alta rappresentazione possibile di un viaggio all’interno dell’orrore. Da bambino adoravo James Bond e i libri horror. E i gialli, soprattutto Agatha Christie. Oggi, quando sono coinvolto in un lavoro, leggo autori che possono guidarmi lungo un certo periodo storico. [...] Scrivo con cura, usando penne stilografiche e quaderni. Riporto quanto ho scritto sul computer, poi correggo a penna e torno a copiare le correzioni in video. L’operazione si ripete una trentina di volte [...] concluso il libro, mi ubriaco più o meno per un mese”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 11/6/2005). «Quando ci si prepara all’incontro con uno scrittore, non di rado lo si immagina in qualche modo simile ai personaggi dei suoi romanzi, nel fisico e negli atteggiamenti; o, per lo meno, con qualche carattere che rifletta le atmosfere che dominano nei romanzi stessi. Spesso questa aspettativa si rivela ingenua e puerile. [...] McGrath, dunque, appare sereno e solare, discreto e riflessivo, come se gli scenari cupi e neogotici, i protagonisti drammatici, eccessivi e tormentati della storia che lo ha portato al successo non avessero lasciato su di lui alcun segno. Ma il suo pathos è tutto interiore. [...] il tema della passione che sconfina nella follia sembra quasi ossessionare Patrick McGrath, costituendo un leitmotiv insostituibile nella sua narrativa. [...] ”Alcuni critici e studiosi di letteratura dicono che il romanzo d’amore è morto; secondo loro saremmo diventati troppo freudiani per credere ancora nell’amore romantico. Ma io non sono affatto d’accordo: trovo che la passione sia un tema irresistibile per uno scrittore e così cerco di svelarne i meccanismi segreti. Infatti la vita è caos, dolore - talvolta orrore - e compito dello scrittore è dare un senso a questo disordine, tenendolo sotto controllo e organizzandolo in una trama. In qualche modo il suo obiettivo è lo stesso dello psichiatra - come si può ben vedere in Follia - con la differenza che il romanziere può essere molto più libero, non deve lenire le sofferenze altrui; può permettersi perfino di essere cattivo e senza pietà. Ma partiamo da questa considerazione: tutti ritengono l’amore il bene assoluto... Gesù Cristo ci insegna che è la base del matrimonio, della famiglia, della società: la base di tutto. Ciò che interessa a me, invece, è capire cosa succede quando questa che dovrebbe essere la più alta fra le esperienze umane diventa talmente intensa da sfuggire al nostro controllo, fino a trasformarsi in una forza distruttiva, fino ad annientare le persone anziché illuminarle [...] Ero ancora molto giovane quando mio padre, psichiatra, mi offrì l’opportunità di trasferirmi in Canada dove avrei lavorato come aiuto di un assistente sociale in un manicomio. Accettai perché stavo vivendo una fase di confusione e insicurezza in cui, dopo due anni di studi caotici, non sapevo quale strada intraprendere. In Canada naturalmente non trovai la rivoluzione bensì la possibilità di ricominciare da zero, di ricostruirmi da capo. E così abbandonai l’Inghilterra. Poi mi trasferii a New York. [...] La mia adolescenza e la mia prima giovinezza si sono nutrite soprattutto di classici: per esempio, Emily Brontë, Melville, Stevenson, Conrad, Poe. Fra i contemporanei, invece, amo in particolare la scrittura visionaria di Angela Carter” [...]» (Marisa Rusconi, ”L’Espresso” 5/11/1998).