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 2004  luglio 22 Giovedì calendario

OTTOZ Eddy. Nato a Mandelieu (Francia) il 3 giugno 1944. Campione dei 100 hs, bronzo alle Olimpiadi del 1968

OTTOZ Eddy. Nato a Mandelieu (Francia) il 3 giugno 1944. Campione dei 100 hs, bronzo alle Olimpiadi del 1968. «Tra il ’65 e il ’67 era stato altre tre volte in Messico con un programma olimpico che studiava gli effetti dell’ altura. Conosceva la città, aveva amici. "Il vento del maggio francese non aveva troppo sconvolto l’ambiente sportivo azzurro. Noi atleti eravamo lì, apparentemente svagati. Il villaggio era vicino alla città universitaria, gli uomini separati dalle donne, sotto il comando di un generale messicano. I controlli non era ancora rigidi, per dare un’aria lieve i poliziotti erano vestiti di turchese e le poliziotte di fucsia. Il governo conservatore aveva compiuto rastrellamenti, gli studenti più arrabbiati erano finiti in prigione, i loro compagni protestavano nelle piazze. Era dura stare tutto il giorno al villaggio, una sera con Mario Pescante decidiamo di uscire. Per caso finiamo intrappolati in una manifestazione. Vedo un elicottero che spara un razzo verde. Poi comincia a far fuoco l’esercito. Ad altezza uomo. Un massacro. Ci nascondiamo sotto un tunnel. Essere atleti serve, eccome. Nel pericolo hai più lucidità. Quel giorno viene ferita Oriana Fallaci. Io torno al villaggio e mi metto a scrivere sul muro un tazebao per i miei compagni: prego, d’ora in poi munirsi di giubbotti anti proiettili, di mascherina contro i gas. Vengo multato per indisciplina. Nel ’68 tutta la mia diaria olimpica, 25 dollari al giorno, se ne andò in sanzioni". Il mondo contestava, qualche atleta nero americano anche. "Sì, non era un segreto. Quasi ogni sera c’erano riunioni in cui si parlava apertamente della segregazione razziale, c’erano seguaci del Black Power di Harry Edwards, Lee Evans la sera prima della finale dei 400 metri litigò e diede un pugno in un occhio ad un pesista bianco, suo compagno di squadra. Per la prima volta la finale dei cento metri fu tutta nera. Io ero amico di Ralph Boston, lunghista, che mi raccontava tutto. Avevo conosciuto Tommie Smith un anno prima a Tokyo, alle Universiadi, mentre provavo le partenze. Si sfregava gli occhi, che gli bruciavano, gli diedi il mio collirio. E poi l’asciugamano. Lui era sconvolto. ’Mi stai dando il tuo asciugamano?’. ’Se ti serve, prendilo’ gli risposi. Per me era normale, per lui una cortesia bianca, no". Anche la squadra italiana discuteva, su come fare i gavettoni. "Cominciammo a riempire d’acqua le buste di nylon con cui ritiravamo gli abiti in lavanderia. E a tirarle addosso ai malcapitati dal sesto piano. Smisero di darci il nylon, passarono alla carta. E noi al tetrapak. Viene beccato in testa un pesista gallese, che rimedia una ferita. Gli australiani ridono, quello arrabbiato, prende le bici dei loro pistard e ne spacca due con le ginocchia. I polacchi vivono in una bella palazzina di vetri su tre piani che per vendetta viene presa di mira con i sassi, divelti dalle aiuole, dai giamaicani al grido: ’Bastardi, anti-ebrei e anti-neri’ . Ci tolgono anche il tetrapak, passiamo ai sacchetti delle scarpe che ci regalava l’Adidas. Stavolta se la prende in testa il ginnasta Franco Menichelli, che sviene, ha una commozione cerebrale, viene portato in ospedale. Si rimette, ma durante il suo esercizio a corpo libero si lacera un tendine. Senza quell’incidente, in caso di brutto risultato, avrebbero dato la colpa a noi. Mi viene ancora ritirata la diaria, per punizione. Ma io quel giorno non c’ero. Venne a trovarci Rita Pavone, che aveva un concerto, anche lei fu inondata d’acqua. Teddy Reno ci minacciò: ’Se perde la voce e non riesce a cantare vi chiedo 150 milioni di lire di danni"". Fu rivoluzione, sulle pedane. "Richard Fobsury aveva 21 anni, era isolato dal resto della squadra, il suo stile a gambero non piaceva, lui nell’alto si allenava da solo e noi gli tenevamo compagnia. Saltavamo con lui e ci accorgemmo subito che la sua tecnica funzionava. Un anno prima a Stoccolma ero andato ad un convegno con Calvesi e i filmati di Fosbury furono dileggiati dagli altri allenatori. Nel lungo ci fu l’8.90 di Beamon, che prese l’unica pedana della sua vita. un fenomeno, mi aveva detto Boston, ma è completamente idiota. Beamon sfruttò bene i due metri vento di a favore, sembrava non scendere mai. Magnifica la gara di triplo con Gentile, Saneyev, Prudencio, il record del mondo venne battuto dieci volte". Nei 110 ostacoli arrivò il bronzo di Ottoz. "Ero arrivato in finale senza problemi. Ma a quel punto avevo bisogno di consigli tecnici e Calvesi non c’era. Rischiai, mi buttai, arrivai terzo, persi di un soffio l’argento. Ero contento di non aver combinato pasticci. Non aspettai la fine, me ne andai il giorno dopo. A New York. Con una moto Laverda 650, che era arrivata via nave. Dieci giorni on the road per 7.300 chilometri". E lì iniziò un altro viaggio. "Solo che per farmi uno scherzo mi avevano messo lo zucchero nel serbatoio e a Orange, in Texas, bruciai le valvole"» (Emanuela Audisio, "la Repubblica" 11/7/2004).