Varie, 25 giugno 2004
Tags : Arvo Pärt
Part Arvo
• Paide (Estonia) 11 settembre 1935. Compositore • «C’è stato un momento, alla fine degli Anni 80, in cui un coreografo alla moda non poteva non mettere in danza la musica di Arvo Pärt. Tabula rasa era il titolo più gettonato. Ma anche Fratres riscuoteva grandi simpatie. La musica sospesa, senza tempo, di Pärt era l’ideale per gli epigoni dei minimalisti post-modern di quei tempi. Quella moda è poi passata. Ma per fortuna non è passato di moda Pärt che [...] è diventato il compositore contemporaneo fra i più conosciuti e ha venduto milioni di dischi. Tanto da fare storcere il naso ai puristi (quelli che Adorno definiva ”ascoltatori risentiti”) che vedono nel successo commerciale un sintomo di concessione alle richieste del mercato. Eppure il suo volto incorniciato da una folta e monacale barba nera tutto fa venire in mente tranne che un personaggio glamour. La sua storia poi, gli anni duri sotto il regime sovietico nella lontana e provinciale Estonia, contribuiscono ancor di più a creare il mito di un personaggio taciturno e appartato. [...] Un paese, l’Estonia, culturalmente in equilibrio fra la secolare dominazione tedesca e la successiva occupazione sovietica. L’amore giovanile per la musica, gli studi, le speranze del disgelo nel ’53 dopo la morte di Stalin, il trasferimento nella capitale Tallin, la successiva glaciazione brezhneviana: nel racconto che Pärt fa a Restagno si delinea il profilo della palude sovietica. Dove partiture e incisioni dei compositori occidentale circolano clandestine; dove scrivere musica con la tecnica dodecafonica è considerato un delitto. Tuttavia, proprio per la posizione eccentrica dell’Estonia, ”l’atmosfera al Conservatorio di Tallin - ricorda Pärt - era alquanto più libera rispetto a quella che gravava sul Conservatorio di Mosca”. Nella capitale regnavano compositori amati dal regime, come Krennikov, oggi ricordati solamente dagli specialisti. Mentre le visite di musicisti occidentali, Pärt ricorda Luigi Nono, erano accolte come una ventatà di libertà. In questo panorama politico e intellettuale Pärt incomincia l’attività di musicista scrivendo la prime composizione con la tecnica dodecafonica. Sino al 1968 quando il suo Credo riscuote a Tallin una accoglienza calorosissima di pubblico. Il bisogno di spiritualità, negata nel mondo sovietico, è probabile che abbia influito su questo successo. Che si trasforma tuttavia per Pärt in una afasia creativa, un silenzio lungo sei anni. Durante i quali ricerca e poco per volta trova nella musica antica medievale, nel gregoriano, le ispirazioni per quel suo stile tintinnabuli con il quale si farà conoscere prima in patria e poi in Occidente dove nel 1980 è ”indotto” dai funzionari sovietici ad emigrare. Sono drammatiche e commoventi le descrizioni che Pärt e la moglie Nora fanno [...] dell’abbandono di Tallin. In Occidente la famiglia approda a Vienna per poi sistemarsi a Berlino. Qui ancora oggi risiede e vive» (Sergio Trombetta, ”La Stampa” 23/8/2004). «Anche se oramai è un autore di successo e da decenni abita a Berlino, continua a rimanere fedele a un look da intellettuale nato nella periferia povera dell’impero sovietico. Anche se il suo paese, l’Estonia, è oramai in Europa, di Arvo Pärt si parla sempre col rispettoso e un po’ morboso distacco che si dedica a un ”ospite” illustre ma esotico rispetto alla nostra cultura. Anche se la sua musica, fatta conoscere in modo episodico negli anni ottanta da alcuni interpreti in alcuni piccoli festival tedeschi (Gidon Kremer ad esempio), poi divulgata con preveggenza fortunata da un’etichetta discografica trasversale (l’Ecm) ha una visibilità esecutiva sorprendente, quando si parla di Arvo Pärt si tende comunque a sottolineare l’apparente contraddizione di un compositore colto che ha successo (senza sostanziali spaccature tra il pubblico o diversità di fama nei singoli paesi) e di artista quasi involontariamente di spicco internazionale e mondano che però musicalmente continua a interrogarsi cercando l’ispirazione in testi e atmosfere misticheggianti aspre. ”Un giorno mi accorsi che la mia musica possedeva molte cose ma non la più importante: così cercai di eliminare qualsiasi cosa le fosse estranea”. Le frasi di Arvo Pärt, enigmatiche eppure perfette se abbinate all’ascolto delle composizioni più sintomatiche, richiamano il senso d’una scrittura che dopo aver guardato alle architetture consistenti dell’avanguardia come il massimo esempio di libertà poetica e creativa aveva trovato nella semplicità dei canti modali, nell’ipnotica ripetitività delle antiche melodie ortodosse, nella trama ossuta dei contrappunti medievali una ricetta ispirativa perfetta» (Angelo Foletto, ”la Repubblica” 25/6/2004).