L’Indipendente 20/06/2004, 20 giugno 2004
Il signore dei signori La parte più lunga del Milione è dedicata al Grande Can, titolo che in lingua tartara vuol dire ”lo signore degli signori”
Il signore dei signori La parte più lunga del Milione è dedicata al Grande Can, titolo che in lingua tartara vuol dire ”lo signore degli signori”. Quando detta il libro nel 1298, Marco Polo non sa che Qubilai è morto da quattro anni. Fisicamente, scrive Rustichello, ”è di bella grandezza, né piccolo né grande, ma è di mezzana fatta”. Inoltre ”è carnuto di bella maniera”, ”troppo bene tagliato di tutte le membre”, ha ”lo suo viso bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e begli, lo naso bene fatto”. Ha quattro femmine che tiene ”come moglie” e il figlio maggiore di costoro deve ”essere per ragione signore de lo ’mperio”. Ma ha anche ”molte amiche” scelte nella tribù Ongrac. La città in cui Qubilai dimora a dicembre, gennaio e febbraio è Canbalu, altrimenti detta Pechino, in un palazzo le cui sale e camere sono tutte coperte di oro e argento e scolpite di ”istorie di cavalieri e di donne”. Le mura che lo proteggono sono circondate da prati e alberi, dove si trovano molte bestie selvatiche, come cervi bianchi, caprioli, daini, ermellini e altro ancora. Molti pesci si trovano in un lago dove entra e esce un fiume attraverso una rete metallica in modo che non possa scappare nessun pesce. Sorvegliato a vista da dodici cavalieri, ma non perché corra qualche pericolo, Qubilai a corte siede a un tavolo più alto degli altri, il volto rivolto a mezzodì, insieme ai famigliari, mogli, figli, nipoti. Coloro che si occupano delle vettovaglie del Can, sono baroni e hanno una fascia di seta e oro sul naso e sulla bocca in modo che ”il loro fiato non andasse nelle vivande del signore”. Amante della caccia, oltre che delle libagioni, che pratica con leoni, uccelli rapaci e così via, festeggiato in particolare nel giorno della sua nascita, Qubilai fa battere una moneta prodotta con la corteccia di gelso, albero le cui foglie mangiano i bachi da seta. In realtà non si tratta di tutta la corteccia ma di una buccia sottile che è attaccata alla corteccia. Con essa si fanno carte nere, di vari formati e valore, accettate ovunque come pagamento. Chi le rifiuta rischia la pena capitale. Nel Catai, che corrisponde alla Cina del Nord, soggetta in quel periodo alla dominazione mongola, scrive Marco Polo che si beve un vino fatto col riso e spezie, ”chiaro e bello”" e che inebria ”più tosto” perché ”è molto caldo”. A proposito di calore, nel Milione si descrive il carbone, pietre nere che vengono ”cavate” dalle montagne, ardono come corteccia ma più a lungo.