L’Indipendente 13/06/2004, 13 giugno 2004
La sconfitta Nel 1552 anche a Carlo era chiaro che la battaglia era persa. Cominciò a preparare la sua successione: al figlio Filippo sarebbe andata la corona di Spagna, al fratello Ferdinando quella del Sacro Romano Impero
La sconfitta Nel 1552 anche a Carlo era chiaro che la battaglia era persa. Cominciò a preparare la sua successione: al figlio Filippo sarebbe andata la corona di Spagna, al fratello Ferdinando quella del Sacro Romano Impero. Alla dieta che si riunì a Augusta nel febbraio 1555 non si presentò nemmeno: come scrisse a suo fratello, che lo sostituì, c’erano concessioni che era necessario fare in materia di fede che la sua coscienza gli avrebbe impedito di sottoscrivere. Ne uscì il principio cuius regio, eius religio (ovvero il popolo sarà soggetto alla religione del suo sovrano, qualunque essa sia). La pace coi principi protestanti fu sottoscritta a nome dell’imperatore Carlo V: la fine dell’unità dei cristiani fu l’ultimo atto del suo regno. Toccò al suo successore Filippo II, invece, concludere le ostilità con la Francia con la pace di Cateau Cambrésis, nel 1559, quando l’imperatore era già morto. Due anni prima s’era ritirato nel monastero di San Jeronimo de Yuste, nell’Estremadura castigliana: da una finestra della sua camera poteva vedere l’altare maggiore e assistere alla messa. Qui trascorse il suo tempo leggendo, conversando, passeggiando, andando a caccia. E ovviamente mangiando. I monaci dovettero cedergli un’ala dell’edificio per i suoi 50 servitori e dodici cuochi. Una generosa provvista di cibi raffinati - ostriche, anguille, acciughe, cacciagione, dolciumi - soddisfece il suo appetito ma ne aggravò i mali. Mentre pranzava all’aperto, sotto il sole d’agosto, contrasse una febbre che niente riuscì a calmare: morì all’alba del 21 settembre 1558. Il sogno medievale dell’impero cristiano era finito. In molti avevano riposto speranze in lui, eppure l’imperatore non poteva vincere. Come Debussy disse, a torto, di Wagner: «Fu un tramonto, ma poté sembrare un’alba». Marco Palombi