Varie, 24 giugno 2004
LARINI Silvano
LARINI Silvano Milano 17 febbraio 1935. Architetto. Pittore • «Meglio noto all’epoca di Tangentopoli come il “postino di Craxi” [...] Un tempo socio in una miriade di finanziarie [...] L’uomo accusato di portare in piazza Duomo 19 le mazzette per il Psi, quello che prestò al partito il suo conto in Svizzera (633369 all’Ubs di Lugano), lo stesso che, unico con Claudio Martelli, aveva accesso al frigorifero di Craxi [...] “Rifarei tutto da capo” dice. Anche inguaiare Craxi con la confessione sul conto Protezione? “È stato tutto un equivoco: gli avvocati e lo stesso Antonio Di Pietro mi avevano garantito che quei 7 milioni di dollari dell’Ambrosiano di Calvi transistati sul mio conto avrebbero causato solo un’accusa di finanziamento illecito: invece siamo stati condannati per bancarotta fraudolenta [...] Ma quali mazzette! E comunque io non ho mai contattato nessun imprenditore: mi sono limitato a ricevere, da un esponente dc e da uno comunista, la nostra quota di finanziamento illecito” [...]» (Valeria Gandus, “Panorama” 17/9/1998) • «[...] “I magistrati mi chiesero da dove prendevo i soldi... ma io sono ricco di famiglia, la prima Jaguar l’ho comprata nel ’61. Ed ero socialista per scelta, per convinzione, per amicizia con Craxi [...] mi ispiro a Gauguin. Amo la Polinesia, le spiagge lontane, i nudi femminili... è un rifugio, il rifugio più bello che ci sia” [...] conobbe Craxi nel ’54 e l’ha seguito sempre, Tangentopoli compresa [...] “Il primo disegno lo feci a 12 anni, era un ritratto di mia madre. Nelle riunioni di partito buttavo giù schizzi di cavalli, forse per un senso di noia, immaginavo di scappare. Il mio bisnonno, Camillo Cima, era il pittore della Scapigliatura milanese. Mentre il nonno, Otto Cima, era scrittore, grande amico di Turati. Negli anni Cinquanta frequentavo Brera, il bar Giamaica, conoscevo gli artisti, uscivo con Fontana, Manzoni, Cavaliere, Cascella, Mulas... Ma la pittura era un hobby, me la tenevo per me, chiusa in casa [...] Craxi [...] Era magrissimo, giocava bene a pallacanestro e si vedeva che era un capo. Siamo cresciuti assieme. Ogni volta, da segretario, mi offriva un posto da senatore o ogni volta rifiutavo: preferivo il ruolo di consigliere. L’idea di cercare il consenso, coltivare il collegio, andare alle feste dei parrucchieri... mi faceva spavento. Non so perché o forse sì: mera spocchia intellettuale”. Era lui, Larini, a portare la valigetta con le banconote in piazza Duomo 19. Ufficio di Bettino. “Soldi del finanziamento illecito, arrivavano dalla Metropolitana. Me li passavano un democristiano e un comunista come ‘fetta’ che spettava al Psi”. I pm, nel ’92, lo cercarono per nove mesi: “Qualcuno mi faceva in Polinesia, altri giuravano di avermi visto a santo Domingo. Ma io ero vicino veleggiavo nel Mediterraneo”. Si consegnò a Di Pietro: “Tre notti nel carcere di Opera, un mese agli arresti domiciliari. Un po’ di processi [...] Patteggiamento per il metrò, condanna condonata sul Conto protezione, alcune prescrizioni e archiviazioni [...] Le intuizioni di Bettino erano giuste: le riforme, la modernizzazione, la lotta contro lo strapotere dei sindacati. L’errore? Craxi doveva cavalcare il federalismo e non mettersi contro la Lega. Era una battaglia persa: e Bossi, poi, toglieva i voti alla Dc, non a noi. Ma... ci si mise anche Martelli: affossò il capo, voleva prendere il suo posto” [...]» (Venanzio Postiglione, “Sette” n. 19/2000).