24 giugno 2004
Tags : Ennio. Pintacuda
Pintacuda Ennio
• Nato a Prizzi (Palermo) il 9 marzo 1933, morto a Palermo il 4 settembre 2005. Gesuita. Laureato in giurispridenza e in teologia, master in sociologia, è diventato sacerdote a 30 anni. Nel 1980 è l’ideologo di Città per l’uomo, cattolici fuori della Dc, in dialogo con i comunisti. Nel 1991 è ispiratore della Rete di Leoluca Orlando. «La sua faccia era molle, mutevole, arabeggiante. E la celava dietro quegli occhialoni neri da vecchio professore, lenti spesse da miope che ogni tanto scivolavano sul naso a uncino. Sorrideva poco. E quando parlava non alzava mai la voce, mormorava. Dentro sembrava fatto di ferro. Una volta gli chiesero davanti a una folla: padre, lei andrà all’inferno o in paradiso? Rispose: ”Penso che mi spetti di diritto il paradiso, l’inferno lo sto già scontando ogni giorno su questa terra”. Il suo inferno era Palermo. [...] sacerdote della Compagnia di Gesù, il sociologo che si ”inventò” il democristiano ribelle Leoluca Orlando e poi ispirò anche quella ”Rete” che in fondo all’Italia rovinò sulla Democrazia cristiana, il giacobino della Primavera palermitana, l’inquisitore che teorizzava la cultura del sospetto negli anni siciliani più tormentati. E alla fine la sua giravolta, il gesuita inquieto che diventa ”suggeritore” del centrodestra, sponsor dei vincitori di quell’incredibile 61 a 0. E´ morto padre Ennio. Era nato nel 1933 a Prizzi, un paesino aggrappato alla schiena di una montagna che guarda dall’alto Corleone. Lui, li aveva visti tutti da vicino i protagonisti della storia della Sicilia degli ultimi trent’anni. Lima e Ciancimino, Nicoletti e Macaluso, Mannino e Nicolosi, Falcone e Borsellino, Chinnici e Caselli. Alcuni l’hanno amato, altri odiato. A Palermo era tornato dopo l’America, studi di sociologia politica alla New York University, una seconda laurea in teologia nel giorno della morte di Papa Giovanni. E da Palermo non se n’è mai più andato. Un po’ in disparte e un po’ in prima linea, però sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da sperimentare nel suo ”laboratorio”. A metà degli Anni Settanta legò con Achille Occhetto che da segretario regionale in Sicilia andava incontro alla Dc, all’inizio degli Anni Ottanta fece nascere ”Città per l’Uomo”, un movimento sostenuto dal cardinale Pappalardo. Ricordò il gesuita sociologo un giorno: ”Quando nacque Città per L’Uomo una domenica mi telefonò Salvo Lima e insieme a Mario D’Acqusto piombarono a casa mia per chiedermi di bloccare la presentazione delle liste. Mi dissero testualmente che così si faceva una distinzione troppo netta tra la Dc degli onesti e la Dc dei disonesti”. Poi vennero altri anni e altri stragi. E al centro ”Pedro Arrupe” - allora al suo fianco c’era anche padre Bartolomeo Sorge - cominciarono a immaginare le giunte ”anomale” e quelle ”colorate” con tanti partiti mischiati uno con l’altro e con a capo l’Orlando ”furioso”, il sindaco dc che attaccava la Dc. Era l’inizio di una travolgente stagione siciliana. La mafia continuava a sparare e a uccidere ma, per la prima volta, Palermo si stava rivoltando contro quei ”galantuomini”. E contro uno Stato che non era Stato ma si svendeva a quegli altri, che faceva patti con quella Cosa Nostra che era diventata padrona di una città. Fu allora che padre Ennio incontrò tanti amici e tanti nemici. Osannato dai movimenti antimafia, in affettuosi rapporti con i giudici del pool, il gesuita andava ripetendo per le vie di Palermo una frase che diventò celebre: ”Il sospetto è l’anticamera della verità”. Bianco e nero, di qua o di là: era la Palermo della paura. Emanuele Macaluso lo definì ”un gesuita depistatore”. Bettino Craxi lo soprannominò ”Padre Barracuda”. il presidente Francesco Cossiga lo paragonò a un sacerdote fanatico ”che si crede nel Paraguay del 1600”. E raccontò il prete politologo di quei suoi difficili mesi: ”Cossiga fece di tutto per farmi trasferire in Sudamerica, lo chiese ai miei superiori. Ma Luca Orlando incontrò i vertici della Compagnia di Gesù e io rimasi a Palermo. Luca con me ha fatto più di quanto avrebbe fatto un figlio”. Di quello che accadde dopo tra i due, si conosce veramente poco. Solo voci incontrollate su una frattura che non si sanò mai, un antico legame spezzato per sempre. [...] Cosa divise il gesuita di ferro e il sindaco ribelle? Confessò padre Ennio [...] a un amico giornalista: ”La mia vera delusione è stata l’amministrazione della città, aveva tempo e soldi per trasformare Palermo ma... e poi Luca è stato il maggiore responsabile dello stato in cui si ridusse la Rete”. Il salto di Pintacuda è degli ultimi anni. Quando stava candidandosi a sindaco di Palermo Gianfranco Micciché gli chiese consigli sul programma, poi il presidente della Provincia Francesco Musotto lo nominò presidente del Cerisdi, il centro di ricerche e studi direzionali della Regione. [...]”» (Attilio Bolzoni, ”la Repubblica” 5/9/2005). «Durante gli anni Settanta-Ottanta aveva un colore accesissimo: rosso, ultrarosso. Francesco Cossiga, da capo dello Stato, lo definì un prete fanatico ”che si crede nel Paraguay del ’600”. Bettino Craxi lo soprannominò Padre Barracuda. [...]» (Antonio Padalino, ”Panorama” 20/8/1998). «Ex ideologo della Rete, ex consulente di Leoluca Orlando, ex nemico di Francesco Cossiga, di Giulio Andreotti ed ex inventore dello slogan ”il sospetto è l’anticamera della verità”. Oggi di sospetti Pintacuda, se ne ha, preferisce tenerli per sé, e a chi gli chiede se è passato con Berlusconi, risponde: ”No, io sono trasversale”. Del resto padre Pintacuda [...] rappresenta bene l’anima di una città dove tutti quelli che contano (in ogni senso) si conoscono. Per capirlo basta guardare le foto ingiallite del Gonzaga, il liceo dei Gesuiti, dove negli anni Sessanta il giovane Ennio, primo sacerdote siciliano a indossare il clergyman con pochette nel taschino, insegnava filosofia. ”Voi governerete milioni di persone”, profetizzava allora agli studenti. E nelle sue classi ad ascoltarlo c’erano il futuro sindaco Leoluca Orlando e l’inseparabile Enrico La Loggia, futuro ministro; i futuri presidente della Regione Giuseppe Provenzano e sostituto procuratore generale di Palermo Leo Agueci; Antonello Perricone, ora numero uno della Sipra; Giovanni Mercadante, attuale potente deputato regionale azzurro, e Francesco Musotto, presidente della Provincia ed eretico di Forza Italia. Non a caso, quando Pintacuda nel ’96-97 rompe con Orlando sul governo di Palermo e vede boicottati i corsi della sua Libera Università di Filaga (sorta sui terreni della baronessa Cammarata, madre di Orlando), per un po’ scompare dalla scena. Chi lo ripesca? Musotto. Pintacuda, già dipendente della Provincia di ottavo livello, passa al nono e diventa responsabile dell’ufficio antiracket. Musotto intanto viene assolto dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa (mentre suo fratello è condannato), sicché tra ex allievo ed insegnante non c’è incompatibilità. E poi tutto è già pronto per il salto successivo: la nomina, voluta da Gianfranco Miccichè, alla testa del Cerisdi. da quella poltrona, situata 347 metri sopra Palermo, che Pintacuda oggi guarda la città e il mondo. Visti da lì gli uomini gli sembrano quelli di sempre: piccolissimi» (Peter Gomez, ”L’Espresso” 13/12/2001). «[...] gesuita aspro e appassionato. [...] teologo e politologo, personaggio centrale - insieme con Leoluca Orlando, suo discepolo preferito e poi disconosciuto - di quella che ormai viene ricordata come la ”Primavera di Palermo” [...] Furono le scelte politiche di Pintacuda (specialmente le tesi sulla opportunità omeno di rompere l’unità dei cattolici) ad esporlo ad un confronto perdente, malgrado all’inizio fosse stato sostenuto dallo ”schermo” offertogli da don Bartolomeo Sorge, direttore del Centro Padre Arrupe, una scuola per politici che a Palermo è stata una vera fucina di intelligenze. Ha sempre fatto discutere parecchio, l’attività di Pintacuda. Portato in auge mentre si formava l’embrione di una nuova coscienza culturale e politica che cozzava contro il ”quieto vivere” democristiano, soprattutto in Sicilia, ma violentemente attaccato quando le sue teorie - diventate prassi - mettevano in discussione la consolidata egemonia dei gruppi di potere (Lima, Ciancimino e la corrente andreottina) all’interno del partito di maggioranza. Era la lotta alla mafia, l’antimafia sociale, il crinale dentro il quale si agitavano le teorie politiche della ”scuola dei gesuiti”. E - si sa - mafia e antimafia rappresentano un terreno dove da sempre si combatte una guerra molto virulenta. Ecco perché spesso i toni della dialettica si sono fatti aspri. La radicalizzazione delle posizioni, l’oggetto stesso delle polemiche forse lasciava poco spazio alla vocazione all’unità. E Pintacuda, d’altra parte, non era un politico che univa. Proprio sul tema del legame tra mafia e politica - il sacerdote era già l’ispiratore della ”Primavera” e Orlando ne era il leader incontrastato - Pintacuda si lasciò sfuggire una provocazione rimasta nel ricordo generale. Riferendosi alle inchieste dei magistrati, criticate dall’establishment come ”sospetti senza prove”, don Ennio replicò: ”Il sospetto è l’anticamera della verità”. Una frase che gli costò aspre critiche. Della sua scuola di politica, dei movimenti di cui fu ispiratore (prima ”Città perl’uomo”, poi ”La Rete”), all’indomani della terribile mattanza mafiosa degli Anni Ottanta, Bettino Craxi disse: ”Un laboratorio diseducativo e di imbrogli politici”. Ancora più caustico e ”personale”, Francesco Cossiga: ” un prete fanatico che crede di vivere nel Paraguay del ’600”. La politica era la vera passione del prete di Palermo. La battaglia non lo intimoriva e quasi mai cercava la mediazione dialettica. ovvio, perciò, che abbia vantato amicizie, ma anche molte inimicizie. Nell’ambiente degli intellettuali di Palermo c’era chi lo adulava, ma anche chi ne storpiava il cognome indicandolo come ”padre barracuda”. Per carattere, per il modo in cui intendeva la passione politica, non riusciva a metter radici. Anche con Orlando fu amore e poi gelo. Pintacuda, laureato alla ”Cattolica” di Milano e teologo uscito dalla ”Gregoriana” di Roma, si era specializzato all’Università di New York. Questa esperienza di respiro ampio deve aver giocato un ruolo importante nell’amicizia col giovane Leoluca, fresco di studi in Germania. Ma i caratteri non erano docili e così, dopo i bei confronti estivi nella casa di Prizzi, le nottate trascorse a litigare sulle analisi elaborate a Filaga (dove aveva fondato la ”Libera Università”), il rapporto si incrinò. Ma forse non solo per motivi di dissenso politico,a giudicare dall’insanabile frattura mai ricomposta. La rottura con Orlando sancisce il cambiamento di Pintacuda che accetta il rapporto con una parte politica (Forza Italia e il centro destra) fino a poco tempo prima avversata e criticata. Chissà, una metamorfosi probabilmente agevolata dall’isolamento in cui era stato lasciato il sacerdote scomodo. Allontanato da Casa Professa, privato dell’insegnamento, ormai quasi dimenticato, avrà vissuto l’invito (della Regione Siciliana) a dirigere il Cerisdi (una scuola di formazione per dirigenti) come l’ennesima opportunità per ”non restare immobili”. In fondo, se Palermo è cambiata è anche merito suo» (Francesco La Licata, ”La Stampa” 5/9/2005). «’Migliaia di telespettatori l’hanno visto: piccolo di statura, con grandi occhiali scuri che sormontano un viso sicilianissimo. Via il solito clergyman, aveva indosso i paramenti sacri e levava le braccia al cielo...”. Così scriveva il ”Manifesto” nel 1989, del ”gesuita scomodo”, ieratico e seducente, il prete antimafia, l’allevatore di democristiani onesti, l’uomo di sacrestia che però amava gli hippie del ’68 di New York. Prima venerato dalla sinistra e odiato a destra, poi viceversa, sempre capace di dividere per le sue posizioni nette [...] Da quel 1994 quando consumò lo strappo, prima umano e poi politico, con il suo allievo prediletto, Leoluca Orlando e scivolò verso una destra siciliana che lo ha accolto, ma guardandolo con un vago timore. Il sindaco e il gesuita. sempre stato difficile pensarli in modo disgiunto, al punto che la vicenda politica dell’ex primo cittadino di Palermo viene spesso riassunta in modo liquidatorio dai suoi nemici con una citazione (era il 1989), ”la cultura del sospetto è l’anticamera della verità”, che però appartiene all’altro, al suo maestro, padre Ennio. Sono due nomi legati indissolubilmente a una breve stagione, catalogata alla voce ”Primavera di Palermo”. Per la Rete, il movimento politico fondato da Orlando che coltivò la speranza di saldare pezzi di sinistra, Dc e società civile in un movimento trasversale tenuto insieme dalla questione morale, padre Pintacuda rappresentò quello che don Giussani è stato per Comunione e Liberazione, la guida spirituale, l’uomo che indicava la via. Gesuita, laurea in giurisprudenza, master negli Usa, nemico giurato della Mafia, della Dc andreottiana e della famosa ”zona grigia”, altra sua celebre definizione. Molti amici, molti nemici. Per i primi era un esempio di coraggio, per i secondi di integralismo. Orlando fu la sua vittoria, e la sua delusione. Sostenitore della giunta anomala che guidò Palermo dal 1987 al 1990, raccontò di aver pianto di gioia quando ”suo figlio” Leoluca divenne sindaco. Rilasciava interviste furibonde sulle ”collusioni romane” tra mafia e potere, si infuriava quando gli dicevano che assomigliava fisicamente a Giulio Andreotti, perché quelli erano gli anni del rinnovamento della politica, la riscossa dell’antimafia militante. ”Tempi - disse in una intervista del 1990 - in cui si deve finalmente scegliere dove stare, senza fingimenti”. La storia dice com’è andata, e ognuno la legge a modo suo. Pintacuda litigò con Orlando nel 1994. Si avvicinò al centrodestra, divenne sostenitore convinto di Gianfranco Miccichè, di Totò Cuffaro, di tutto quello che era il più possibile distante dalla sua vita precedente. Brindò alla assoluzione di Andreotti. Rinnegò il ”figlio” con parole affilate: ”Un falso Messia”, ”credevo fosse uno statista, era un nano”. [...] un religioso che faceva politica, ”né di sinistra né di destra, ma trasversale”, come disse nel 2003. [...] Orlando dice che padre Pintacuda ”era l’unica persona alla quale davo del ’lei’ pur ricevendone il ’tu’”. Del padre Ennio post 1995, si rifiuta di parlare. Di quella Primavera invece dice: ”Ci insegnò che nei momenti difficili la rottura è l’unica prudenza. Ci diede il coraggio di rivendicare con chiarezza le nostre posizioni”. E quella frase, la ”cultura del sospetto” che alcuni considerano come l’eredità malata della stagione dell’antimafia? Orlando sospira: ”Venne strumentalizzata. Ma basta sostituire ’sospetto’ con ’dubbio’ e si ottiene una grande verità laica”. [...]» (Marco Imarisio, ”Corriere della Sera” 5/9/2005). Vedi anche: Claudio Fava, ”Sette” n. 43/1998, Michele Brambilla, ”Sette” n. 35/2001;