20 giugno 2004
MILANOLI Paolo.
MILANOLI Paolo. Nato ad Alessandria il 7 dicembre 1969. Schermidore. Medaglia d’oro nella spada a squadre alle Olimpiadi di Sydney. Oro nell’individuale ai Mondiali di Nîmes nel 2001. Oo a squadre al Mondiale di Essen del 1993. Tre medaglie anche negli Europei: bronzo individuale a Keszthely nel 1995; oro a squadre a Bolzano nel 1999; argento individuale a Coblenza nel 2001. Sull’oro olimpico: «La Francia era favorita e sulla carta un po’ più forte di noi, ma per fortuna alla fine perdono sempre, siamo un po’ la loro bestia nera [...] la sera prima, quando io e Alfredo facevamo già le prove del podio, eravamo talmente convinti di vincere che scherzavamo così. Poi battiamo l’Australia, poi l’exploit con la Corea: sentivamo prima della finale che l’oro era nostro [...] Il pubblico un po’ parteggiava per noi perché eravamo sempre in svantaggio. Meglio [...] avevamo uno schermidore per ogni caratteristica. L’esperienza enciclopedica di Angelo Mazzoni alla sua sesta Olimpiade, fondamentale per la tattica; un giovane come Rota che aveva già dimostrato di essere un campione, ma aveva molta voglia di fare; Maurizio Randazzo che ha un gran carattere, non guarda se ha davanti l’incredibile Hulk o un triplo campione olimpico: per batterlo bisogna toccarlo; e poi io, che cerco sempre di portare la battaglia dove mi sento più forte, anche al limite del regolamento [...] Lo sport ha rappresentato la mia vita, ma non è mai stato tutta la mia vita, quindi l’ho sempre preso come un gioco e che cosa c’è di più bello che fare una pazzia in mondovisione durante un’Olimpiade? Non è una questione di coraggio, come molti dicono, è il piacere di non prendersi sul serio [...] Ho fatto una serie di provocazioni perché, come detto, mi piace giocare, ma sempre nei limiti del regolamento, nel senso che mi piace vincere se lo merito. Però devo dire che il regolamento lo sfrutto fino all’ultima postilla. A un certo punto ho abbassato la guardia, bastava che il mio avversario allungasse un braccio per toccarmi, è questo che mi piace: il francese ha pensato che ci fosse sotto qualcosa e non ha avuto il coraggio di allungarlo, il braccio. S’è innervosito. Certo, se il trucchetto funziona sei un grande, se non funziona diventi un’altra cosa che non si può dire davanti alla telecamera [...] Eravamo sempre in svantaggio di due tre stoccate, che contro la Francia sono tante, ci abbiamo sempre creduto, senza forzare la mano. Fino all’ultimo assalto di Rota che ha piegato Obry, che si è messo a piangere sulla pedana. Non era molto amato, Obry, e quell’immagine ce l’ha reso, come dire, più umano e adesso gli vogliamo più bene [...] subito dopo ti rendi conto che non hai fatto poi chissà che cosa: lo sport è una parte della vita, il bello è raggiungere un obiettivo dopo aver lavorato, ma per me questo si può raggiungere anche in una palestra di provincia, non solo a un’Olimpiade [...] Ognuno la vive a sua modo, la medaglia d’oro. Dopo gli abbracci ha prevalso il silenzio: ognuno stava in disparte, come se volesse memorizzare tutte quelle emozioni. Attimi fatti di sguardi più che di parole. Poi il podio. Lo scalino sembrava altissimo. Durante l’inno ho appoggiato la medaglia sulla spalla del mio amico Rota. Il mio contributo è stato come il suo, ma devo dire che i suoi tocchi decisivi hanno dimostrato un carattere fuori dal comune. Quando hai sulle spalle tutta la squadra non è facile: tre quarti di quella medaglia sono del più giovane”» (Gabriella Mancini, ”La Gazzetta dello Sport” 20/6/2004).