varie, 14 giugno 2004
HAMILTON
HAMILTON Richard Coatesville (Stati Uniti) 14 febbraio 1978. Giocatore di basket. Dei Detroit Pistons. «Ci si stanca solo a guardarlo. Devean George lo paragona al coniglietto della Duracell. Rip Hamilton non si ferma mai, non conosce la fatica. Provate a inseguirlo per tutta la partita, alla fine vi mancherà la lucidità necessaria per fare le cose che potrebbero consentirvi di vincere, mentre lui sarà ancora fresco. La stella dei Detroit Pistons corre da una vita, sin da quando era ragazzino e il nonno lo portava a fare lunghe passeggiate. ”Avevo circa sei anni – ricorda Richard – ero stanco e gli chiesi se poteva portarmi in spalla sino a casa. ”No, perché se lasci che qualcuno ti aiuti oggi, lo farai sempre. Devi imparare a contare solo su te stesso’, mi rispose”. Una filosofia che è diventata fedele compagna di viaggio. Il sacrificio non è pesato a Rip: ”Ricordo i miei genitori, lavoravano come matti per riuscire a mettere il pane in tavola. Quale ispirazione migliore?”. Rip, che ha ereditato il soprannome dal padre, aveva stupito tutti per la sua etica già ai tempi del liceo, quando coach Jim Smith faceva correre alla squadra i cosiddetti ”suicidi”, avanti e indietro per il campo toccando di volta in volta le linee che delimitano l’area, la metà campo, la lunetta. Quando gli altri erano sfiniti, lui rideva: ”Bam, bam, bam, guarda quanto sono forte – gli gridavo – posso andare avanti per tutta la giornata se credi”. In campo è stato paragonato a Reggie Miller, per il suo moto perpetuo. ”Mi sembra di rivedere me stesso – raccontava la star dei Pacers durante le finali di Conference – . Solo che io, ora, sono un vecchietto e faccio fatica a stargli dietro...”. ”Penso di essere in condizioni fisiche migliori di qualsiasi giocatore Nba – dice Hamilton – . Quando, a fine gara, gli altri hanno il fiatone, io inserisco un’altra marcia. D’estate, quando mi alleno da solo, non mi limito a tirare, ma corro di continuo, cercando di ricreare situazioni che poi ritrovo in partita”. Questione di Dna: il nonno paterno, Edward Hamilton, era un maratoneta; suo zio, Michael Long, correva la staffetta 4x400. Ma c’è dell’altro. ”Il mio segreto? Niente alcol, niente droghe: così puoi correre tutto il giorno. E poi non dimentichiamo l’importanza di una corretta alimentazione””. Insegnatagli dal padre: ”Quando avevo 10-11 anni – racconta l’ex guardia di Washington – si assicurava che bevessi sempre 4 litri d’acqua, che mangiassi uva, ananas e mele prima e dopo le partite. Ora sono passato a bianchi d’uovo, patate, cereali la mattina, salmone dopo l’allenamento, insomma, roba buona”. Che gli prepara il suo chef personale. Ma la grandezza di Rip non si limita ovviamente alla condizione fisica. Ci vuole ben altro per emergere nella Nba. [...] Sulla spalla, Richard ha un tatuaggio con il soprannome, Rip, che esce da una tomba (Rip, che letteralmente significa stracciare, è anche usato come abbreviazione per Riposa in Pace): ”Significa che giocherò a basket per sempre, finché vivrò”. I suoi rituali comprendono uno strano palleggio alla destra del corpo prima di ogni tiro libero: ”Lo faccio per ricordarmi di piegare le gambe, inoltre dico ” libero’”. Piccole scaramanzie per un grande cestista. C ome spiega il suo allenatore, Larry Brown: ”Hamilton è diventato un giocatore completo, ha imparato a difendere. Abbiamo lavorato duramente su molti aspetti del suo basket e lui ha recepito alla perfezione gli insegnamenti”. ”Non è mai facile quando devi cambiare, opponi sempre un po’ di resistenza all’inizio – replica lui – . Devi capire che cosa vuole il tuo allenatore, cercare di andargli incontro e finché non accetti le sue idee è dura. Ma coach Brown è stato capace di tirar fuori il meglio di me”. Il tecnico concorda: ”Fa qualsiasi cosa gli chiedi, ha un solo obiettivo: migliorarsi, diventare più forte”» (Massimo Oriani, ”La Gazzetta dello Sport” 13/6/2004).