L’Indipendente 06/06/2004, 6 giugno 2004
la festa del giorno dopo Il rito ha esercitato un grande fascino sugli etnografi ed etnologi occidentali avventuratisi nell’Africa remota e ancora intatta lungo i secoli dell’epoca coloniale
la festa del giorno dopo Il rito ha esercitato un grande fascino sugli etnografi ed etnologi occidentali avventuratisi nell’Africa remota e ancora intatta lungo i secoli dell’epoca coloniale. Dal Seicento all’Ottocento fiorirono reportages ammaliati dalla ”circoncisione femminile”, dai corpi e dai genitali delle negre descritti come mostruosità corpulente, segno evidente di una sensualità brada da tenere sotto controllo. I riti di iniziazione, sempre uguali e sempre differenti, sono stati raccontati senza mai accennare al risvolto tragico: infezioni virulente, malattie croniche, talvolta morte. Possiamo sintetizzare le storie tramandate dai dotti in un’unica storia declinata al presente, tanto labili sono i confini temporali e spaziali dei riti. Le impuberi o appena puberi vengono radunate assieme per essere escisse o escisse e infibulate in luoghi separati. Cantano e danzano in preparazione dell’operazione eseguita da un personaggio chiamato ”fabbro” o da una donna-fabbro. Talvolta vi assistono le madri, talvolta no. Diventate donne perché mutilate, le piccine trascorrono una lunga convalescenza durante la quale vengono accudite in un gineceo al comando delle madri. Queste sono dispensate dal lavoro per via dell’importanza del loro compito. I padri si allontano dalla dimora comune, ma provvedono alla famiglia. Le figlie, talvolta completamente guarite tal altra no, si mostrano con particolari segni nei capelli, sul volto o nell’abbigliamento. Riprendono contatto con la comunità che le riempie di regali e di cibo. Sono al centro di feste che le consolano per il dolore patito e gioiscono per la condanna cui sono state sottoposte