Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  giugno 12 Sabato calendario

CUCCHI

CUCCHI Maurizio Milano 20 settembre 1945. Poeta • «Una coerenza che è anche la garanzia dell’unitarietà indefettibile di un’intera produzione. [...] Unitaria, ovviamente, non vuol dire uniforme[...] l’uomo Maurizio, che si sostituisce affettuosamente al piccolo Icio, alle sue nostalgie e ai suoi lutti, per affermare con orgoglio e autoironia i diritti della sua acquisita maturità. [...] E quest’uomo, finalmente libero dai fantasmi della colpa e dell’inappartenenza, può ora dedicarsi alla costruzione di un’autobiografia che sappia francamente e [...] spensieratamente includere quel tanto di fittizio che sempre si lega in poesia alla pronuncia della parola ”io”: ”Io, cioè un personaggio, un’identità/ fittizia: Rutebeuf, Malone, Prufrock/ o quel che resta di Icio, nato/ e vissuto sei anni al Cairo”. Compresso per tanto tempo da un dolore senza nome e senza riscatto, ora il personaggio può invadere la scena, con le sue voglie, la sua corporeità, le sue debolezze, i suoi tic, le sue pacate e faticate convinzioni. Quel ”miracolo” che già altre volte [...] è capitato di additare nella poesia di Cucchi, ossia la sua capacità di conferire toccanti e inusitati spessori lirici a un contesto di scrittura radicalmente ”oggettivo”, si rinnova qui in tutta evidenza e forza, anche nella cordialità di un disincanto, come nell’incanto di ”dolci fiabe” scovate in ogni dove: ”Non so neanch’io, seduto a questo tavolo, mentre accarezzo trasognato il calice/ se è per salire leggerissimo nell’aria/ o sprofondare nelle caverne, cupo,/ se per il gusto, per il torpore o il sogno... Sbegascèmm, scudellèm, fèmm bandoria,/ stramazzàmoce in terra de traverso,/ con un sorriso al re dell’universo”» (Stefano Giovanardi, ”la Repubblica” 12/6/2004).