Varie, 10 giugno 2004
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PARDI Pancho (Francesco) Pisa 25 aprile 1945. Politico. Nel 2008 eletto al Senato con l’Idv • «[
PARDI Pancho (Francesco) Pisa 25 aprile 1945. Politico. Nel 2008 eletto al Senato con l’Idv • «[...] quella sera in piazza Navona in cui fu incoronato a furor di popolo, per bocca di Nanni Moretti, quale ”nuovo leader dell’Ulivo” [...] ”Sinceramente, non ho mai aspirato a diventare un politico di professione. Mai. Neppure per un minuto. Quello che premeva, a me e agli altri, era di dare uno strattone a una sinistra che sembrava incapace di reagire alla sconfitta del 13 maggio e dopo mesi e mesi stava ancora lì, ripiegata su se stessa. Per il resto, boh... Io campo benissimo come campo adesso”. Pareva avessero i destini stessi della sinistra nelle loro mani, lui e gli altri professori toscani, primo fra tutti l’anglo-mediceo Paul Ginsborg, che avevano organizzato per primi una manifestazione di riscossa a Firenze riuscendo incredibilmente a portare in piazza dodicimila persone. Parevano la reincarnazione in versione rossa di Girolamo Savonarola e dei suoi ”piagnoni”, pronti all’invettiva contro tutti gli errori commessi dagli sventurati capi dell’opposizione: la Bicamerale che aveva dato ossigeno alla destra e spompato la sinistra, i cinque anni di tira e molla senza che venisse varata una legge seria sul conflitto d’interessi, la mancanza di qualità riformatrice, la perdita degli antichi e buoni valori di una volta... Così forti parevano in quei mesi, lui e i professori, che Pietro Fassino ingoiava il rospo di sentirsi dare del leader ”inadeguato” e si sottoponeva con la pazienza di Giobbe a pubblici lavacri penitenziali come quello con centinaia di intellettuali stufi di sentirsi ”koristni nevini”, gli utili idioti ai quali irrideva Ernesto Rossi, e vogliosi di accapigliarsi intorno a tesi sanguigne come quella dello ”scrittore metalmeccanico de Latina” Antonio Pennacchi: ”Basta co li stereotipi de sinistra: so ’fraggici!”. Per non dire di Massimo D’Alema che, sapendo di essere il principale bersaglio dei ”piagnoni” rossi, accettò di andarli a sfidare lì, nella loro tana, a Firenze, in una sala che traboccava di contestatori (’indov’eri per il G8: in barca?”) che lui affrontò senza arretrare di un millimetro. Fu lì che venne fuori la differenza. Con Pancho emozionato che diceva a Baffino di Ferro ”tutto a posto, stai tranquillo” e l’altro che gli rispondeva freddo: ”Non so voi, io sono tranquillissimo”. Ogni volta che ci ripensano, i girotondini sospirano. Ah, quella sera a piazza Navona! Ah, quel corteo intorno alla Rai! Ah, quel giorno al Palavobis per i dieci anni di Mani Pulite! Lui, ”Pancho” Pardi, dice che no, non furono quelle le occasioni sprecate: ”Piazza Navona, in fondo, fu una cosa soprattutto mediatica. Lo spreco, quello vero, avvenne dopo la manifestazione in piazza San Giovanni. Dico: un milione di persone, c’era. E chi se lo sognava di tirar su così, fra quattro amici, un milione di persone? Lì sì, era nato qualcosa di grosso. Ecco, se abbiamo buttato via un biglietto della lotteria l’abbiamo buttato via allora”. Come sia andata lo spiega anche nel libro che ha [...] dato alle stampe per Garzanti. Si intitola La spina nel fianco e ricostruisce questi due anni (e tutta la storia prima) partendo dalla dedica che è un po’ la chiave di tutto: ”A mia moglie e al popolo di piazza San Giovanni”. La moglie Maria perché gli è così attaccata da anni da avere imparato lei pure a fare la malta e tirar su muretti e posare le mattonelle in linea con la passione del marito per i lavori di muratura. Il popolo di San Giovanni perché ”lì c’era una domanda politica fortissima, che avremmo dovuto fare crescere”. Operazione fallita: ”Il referendum sull’estensione a tutti dell’articolo 18: fu lì che si ruppe la magia. Magari era giusto, provarci. Ma era un referendum sbagliato. Dal quale siamo usciti sconfitti. Noi e quello che pensavamo potesse essere il leader vero (mica io, quella era solo una battuta di Moretti) della sinistra e cioè Sergio Cofferati”. Una botta dura. Seguita [...] dalla seconda: il tramonto del tentativo di costruire, ”come aveva chiesto il popolo della sinistra”, una lista unitaria con dentro davvero tutti i pezzi della opposizione. Mancato l’obiettivo, si è messo in lista alle Europee con Antonio Di Pietro e Achille Occhetto: ”Gli unici coi quali, a questo punto, mi potevo candidare”. Gli unici ad avergli offerto un po’ di spazio: ”Certo, quella primavera di risveglio della sinistra pareva promettere di più. Diciamo che se questi professionisti avessero messo nella battaglia contro Berlusconi la stessa pazienza, la stessa costanza, lo stesso impegno che hanno messo per contenere la nostra protesta, incardinarla e domarla, oggi non staremmo in questa situazione.... Ma non voglio polemizzare. Non ne vale la pena”. [...] Figlio di un etologo di fama mondiale, Leo Pardi, che chiamò il figlio col nome del nonno e cioè Francesco detto Pancho ”perché il bisnonno faceva il capitano sui mercantili e andava su e giù col Sudamerica, del quale era innamorato”, il professore che turbò (per qualche settimana) i sonni dei leader ulivisti si è già allontanato una volta, dalla politica: ”Era il 1973. A un certo punto, dopo anni e anni di assemblee che convocavano altre assemblee e dibattiti che definivano con la necessità di altri dibattiti, dissi: basta. E quando provai a riaffacciarmi su quel mondo, al convegno dei movimenti di Bologna nel ”77, ne ricavai solo la conferma: quei riti non mi interessavano più”. Si tuffò nella musica classica di Bach e di Scarlatti, nei libri di Joyce e di Brancati, nello studio della geografia. Ogni tanto, prima di essere sparato sulle prime pagine di tutti i giornali con modi anche sgarbati (come la volta che Pierluigi Diaco lo definì su ”Capital” ”un cazzone eccellente di prima categoria”) c’era qualcuno che gli chiedeva se fosse lui l’anima candida cantata in Companeros da Roberto Vecchioni, il solo tra tanti ex-ribelli ”forse un po’ rincoglioniti / dalla coca e dalla suerte” a essere ”rimasto sulla nuvola in calzoni”. Lui rispondeva di no. E tornava a spiegare del bisnonno marinaio e del nonno e del padre.... » (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 10/6/2004).