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 2004  giugno 05 Sabato calendario

Quanto tempo ci vorrà ancora prima che le applicazioni mediche delle nanotecnologie diventino realtà? Lo abbiamo chiesto a Roberto Cingolani, direttore del National Nanotechnology Laboratory dell’Infm di Lecce

Quanto tempo ci vorrà ancora prima che le applicazioni mediche delle nanotecnologie diventino realtà? Lo abbiamo chiesto a Roberto Cingolani, direttore del National Nanotechnology Laboratory dell’Infm di Lecce. «Dobbiamo distinguere i diversi settori. In questo momento quello più vicino a un’applicazione commerciale è quello dei biochip. Abbiamo realizzato prototipi funzionanti, anche se ancora con costi proibitivi, ma se entrano in campo le grandi case di elettronica quei prezzi si abbasseranno in fretta. Il settore della drug delivery richiederà più tempo, probabilmente non meno di 10 anni. Sappiamo che è fattibile e abbiamo ottimi esempi, ma c’è ancora molto da fare per imparare a raggiungere esattamente il punto dell’organismo desiderato. Ma ricordiamoci che anche ricerche nanotecnologiche che sembrano non avere nulla a che fare con la medicina potrebbero avere ricadute che non siamo in grado di immaginare. Imparare a manipolare i materiali a livello di singoli atomi potrebbe aprire strade completamente nuove per la stessa sintesi di nuove proteine e principi attivi». E le case farmaceutiche? «Iniziano a interessarsi molto, e laboratori come il nostro hanno collaborazioni con grandi multinazionali del settore. Fino a poco tempo fa, invece, erano più che altro le grandi case di elettronica a finanziare queste ricerche. D’altronde questi temi non fanno parte del background tradizionale delle case farmaceutiche. Ci è voluto del tempo perché si avvicinassero al nostro mondo». L’Italia come si posiziona nel contesto internazionale? «Abbiamo infrastrutture e centri di ricerca di alto livello: a Trieste, Milano, Genova, Roma, a Pisa con il Nest (National enterprise for nanoscience and technology, ndr) che è il nostro centro gemello. Direi che in questo campo siamo competitivi rispetto alla Germania e superiori a Francia e Gran Bretagna. Il Giappone è avanzatissimo su alcuni settori ma indietro rispetto a noi su altri. Certo, gli Usa hanno investimenti molto più grandi. Ma di recente sono stato al Mit, e per la prima volta sono tornato senza complessi di inferiorità. Anzi, là hanno appena deciso di mettere in piedi un centro usando come modello l’istituto che io dirigo a Lecce».