Mario Lenzi, Macchina del Tempo, giugno 2004 (n.6), 5 giugno 2004
Ammirazione e timoroso rispetto, a volte venato di preoccupazione: chiunque si sia accostato alla Cina, dal Medioevo a oggi, pare pervaso da queste emozioni
Ammirazione e timoroso rispetto, a volte venato di preoccupazione: chiunque si sia accostato alla Cina, dal Medioevo a oggi, pare pervaso da queste emozioni. Marco Polo non risparmia frasi di meraviglia davanti all’opulenza della corte di Kubilai Khan e di Cambaluc, l’odierna Pechino: «E sappiate per vero che in Cambaluc viene le più care cose e di magiore valuta che ’n terra del mondo». Anche Giovanni di Monte Corvino (1247-1328), primo arcivescovo di Cambaluc, resta abbagliato: «Credo che nessun re o principe nel mondo possa essere paragonato a Gran Khan per l’estensione dei suoi domini». Padre Matteo Ricci (1552-1610), gesuita e pittore, scopre affascinato la stampa a caratteri mobili, sconosciuta in Europa: «La semplicità di tale stampa fa sì che vi sia in circolazione un numero enorme di libri e a un prezzo ridicolo». Jean-Baptiste du Halde (1674-1743), anch’egli gesuita e compilatore della più vasta enciclopedia occidentale sulla cultura cinese, apprende assieme ai bimbi i segreti degli ideogrammi, insegnati con stratagemmi mnemonici modernissimi. «Poiché il numero delle lettere è enorme e senza alcun ordinamento come in Europa, lo studio sarebbe molto pesante se i maestri cinesi non avessero trovato il modo di insegnarle attraverso il gioco e il divertimento, partendo dalle cose più comuni e familiari». Ma non tutto è gioia. Goffredo Parise (1929-1986), visitando una scuola nella Cina comunista di Mao, dice: « la prima volta nella mia vita che vedo il fanatismo politico: è ripugnante e pietoso al tempo stesso, ma fa paura».