Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  giugno 04 Venerdì calendario

SERVILLO

SERVILLO Toni Afragola (Caserta) 9 agosto 1959. Attore. «Se fosse nato a New York, invece che a Caserta, sarebbe una star. [...] un collezionista di premi teatrali e di riconoscimenti illustri. [...] Si definisce un ”efferato dilettante” ma è un vero stakanovista. [...] Ha cominciato nelle cantine dell’avanguardia e in vent’anni è arrivato a riempire i teatri di tutta Italia grazie soltanto al passaparola. Perché qualsiasi cosa Servillo porti in scena, un’opera lirica o Eduardo, un Molière o uno sconosciuto, il pubblico è sicuro di partecipare a una festa. [...] ”Da uomo di teatro non disdegno affatto le risate del pubblico. Molière era un formidabile comico eppure il Tartufo è una grande tragedia. Non penso che ci sia nulla di innovativo nel censurare la comicità nei classici. Una commedia di Eduardo o di Goldoni, un’opera di Rossini e secondo me anche i drammi di Cechov devono farti ridere e piangere [...] In Italia un teatro borghese non esiste perché non esiste una vera borghesia. Basta guardarsi intorno, vedere a che punto siamo arrivati. Quello che esiste e anzi invade ogni fenomeno storico italiano è il suo riflesso sulla famiglia. Era così per i piccolo borghesi di Eduardo che scoprivano il benessere negli anni Cinquanta e Sessanta come per i distretti industriali veneti che racconta Trevisan, proiettati in pochi anni da una cultura contadina a un iper consumismo [...] Con gli anni mi sono convinto che il teatro è essenzialmente espressione del pensiero attraverso la parola. Ed è conflitto, dubbio. Una certa avanguardia senza dubbi, che pretendeva di prescindere dal testo, in realtà fuggiva dal conflitto. Pretendeva d’imporre una verità rivelata, un rito sacro spacciato per innovazione. Diciamola tutta, era un’avanguardia un po’ fascista» (Curzio Maltese, ”la Repubblica” 4/6/2004). «Famiglia piccolo borghese, gente che lavorava. L’unico spunto è che mio padre aveva uno stuolo di fratelli gaudenti che andavano spesso al cinema e a teatro e in famiglia se ne parlava spesso. Io ho cominciato il teatro alla fine degli anni Settanta, quando i gruppi si mettevano insieme e significava progetti, scambi, studio, sperimentazione. Lo consiglio a tutti, anche se allora c’era un clima ideologico favorevole a lavorare in gruppo, oggi lo spettacolo ignobile dei sentimenti e delle idee soprattutto in tv provoca un desiderio mimetico: il sogno è quello di diventare come qualcun altro [...] il napoletano ha un comportamento sociale recitato, si muove naturalmente tra credere e non credere, mostra un totale abbandono alle cose e contemporaneamente ne prende le distanze. Non è questa l’arte dell’attore? Vivere a Napoli per un attore è nutriente [...] Napoli è una capitale nelle arti, è endemico alla città, ma tutto andrebbe affrontato con meno trionfalismi e più concretezza. Credo che Napoli, come il resto del paese, non sia immune dalle responsabilità di una borghesia annebbiata che non va oltre il proprio naso. [...]» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 24/9/2004).