nn, 4 giugno 2004
Tags : Sally Mann
MANN Sally. Nata a Lexington (Stati Uniti) il primo maggio 1951. Fotografa. «Star dell’universo artistico Usa, presente nelle collezioni permanenti del Museum of modern art e del Metropolitan di New York, ma conosciuta in Italia solo da pochi addetti ai lavori [
MANN Sally. Nata a Lexington (Stati Uniti) il primo maggio 1951. Fotografa. «Star dell’universo artistico Usa, presente nelle collezioni permanenti del Museum of modern art e del Metropolitan di New York, ma conosciuta in Italia solo da pochi addetti ai lavori [...] grandi paesaggi misteriosi - lembi di foreste spettrali, rive abbandonate, rovine di edifici affacciati sul nulla - che creano uno spaesamento nello spettatore. Perché ciò che la fotografa vuole mostrare per farceli davvero conoscere è, precisamente, quello che manca: la vita, gli eventi, le creature che li hanno abitati che il trascorrere del tempo ha, almeno apparentemente, spazzato via dalla scena. [...] nell’estate del 1998 Sally Mann ha cominciato a viaggiare nei luoghi delle grandi battaglie della Guerra Civile americana: Antietam, Manasses, e Fredericksburg, dove nel 1862 le truppe della Confederazione sudista guidate dal loro miglior generale, Robert E. Lee, sconfissero i soldati dell’Unione nordista, che solo un anno dopo le avrebbero definitivamente sbaragliate. Un percorso compiuto per documentare i volti e le devastazioni della guerra più di un secolo dopo i grandi reporter pionieri dell’epoca, Gardner, Brady e O’Sullivan, che la Mann ha deciso di rifare senza nostalgia, ma con un’idea precisa e paradossale: fotografare il tempo. Non lo spazio, tradizionale materia prima dell’obiettivo, ma lo spazio che si fa tempo, dimostrando con una speciale torsione dello sguardo fotografico come la morte e la perdita trasformino stabilmente i luoghi e soprattutto la percezione che ne abbiamo. Il risultato di questo pellegrinaggio con la macchina fotografica è un lavoro intitolato Last Measure - espressione non del tutto equivalente all’italiano ”misura ultima” per la varietà di sfumature della parola ”measure” in inglese - di cui la mostra romana Deep South è un diretto antecedente, in primo luogo tecnicamente. Nel ’72, infatti, in un deposito nascosto nei pressi di Lexington, Sally Mann trovò centinaia di lastre fotografiche realizzate da un veterano della Guerra Civile, Michael Miley, conosciuto per i molti ritratti da lui fatti a Robert Lee. Tra visi e corpi anonimi di soldati travolti dalla furia delle battaglie, la fotografa riconobbe paesaggi della Virginia a lei noti e miracolosamente immodificati da allora. Fu così che le venne l’idea che era possibile fotografare il passato senza ricostruzioni posticce. In che modo? Prima di tutto riutilizzando audacemente quell’antica tecnica fotografica: al posto delle pellicole attuali, grandi lastre di vetro imbevute di collodio e stampate lì per lì con una vecchia camera oscura portatile. Ma per Sally Mann non si trattava soltanto di un esperimento tecnico. Per lei in gioco c’era una questione di storia e memoria, o più precisamente di come le intende un uomo, o una donna, del Deep South americano. ”Per quelli del Sud - ha spiegato a proposito di un altro suo lavoro intitolato Mother Land - la memoria è spesso un atto di volontà e, una volta che siamo riusciti ad evocarla, la rivestiamo senza vergogna di sentimento. La nostra storia di disfatta e perdita ci distingue dagli altri americani e proprio per questo concordiamo con l’idea proustiana che il solo vero paradiso è un paradiso perduto”. Nel suo familiare paradiso perduto, tra i pascoli e le colline e le rive fluviali e gli stagni della Virginia e della Georgia, dove ha realizzato con la sua strana alchimia fotografica le immagini di Madre Terra e Profondo Sud , Sally Mann ha ritrovato i luoghi delle battaglie e sentito la presenza dei fantasmi della Guerra Civile: paesaggi immobilizzati dallo sguardo di qualche indolente divinità, perfetto punto di incontro tra il tempo e la memoria. Last Measure [...] fa parte di un più vasto ciclo fotografico in progress intitolato What remains , ciò che resta, definito dall’artista una meditazione sulla natura mortale degli uomini. Ma il suo Sud, la guerra, le ossa dei soldati caduti che ridiventano polvere e terra - la terra dei suoi paesaggi con battaglie fantasma - non sono soltanto un memento mori: ”La gente del Sud - ha scritto - vive in una giuntura tra mito e realtà, dove quel suo particolare amalgama di dolore, umiltà, onore, lealtà, cortesia e sfida rinnegata gioca contro un residuo di dissipata bellezza”» (Elisabetta Rasy, ”Corriere della Sera” 4/6/2004).