varie, 4 giugno 2004
BORANGA
BORANGA Lamberto Foligno (Perugia) 30 ottobre 1942. Ex calciatore. Portiere. Giocò in A con Fiorentina, Brescia, Cesena • «C’è una celebre foto negli almanacchi del calcio: si vede un portiere appoggiato al palo durante una partita. Sorseggia serafico una tazzina di caffè corretto-grappa. Gliel’hanno portata i compagni della panchina perché la gara è noiosa e il massimo difensore non è mai stato chiamato in causa. Ride divertito, la faccia furbetta e lo sguardo pazzoide. Forse il ritratto perfetto di un portiere. Il massimo difensore in questione si chiama Lamberto Boranga. Ha passato la vita tra i pali con Perugia, Fiorentina, Reggiana, Brescia e Cesena, giocando fino a 55 anni e stabilendo un record imbattibile di longevità. Ma non solo. Essendo un vero numero 1, ”Boro” ha anche rinverdito il mito del portiere guascone, un po’ pazzo e un po’ strafottente. Di quelli che litigano con gli attaccanti e se n e fregano delle formalità. Un giorno s’appiccicò con Chinaglia, l’attaccante della Lazio destrorsa e potente degli anni settanta. Lui che sin dall’esordio a Firenze era considerato un portiere di sinistra. Finì a testate. Ma la testa Boranga la usava anche in un’altra maniera. Così stabilì un altro record. Fu il primo calciatore a laurearsi in medicina mentre era in attività. Di giorno parava, di sera studiava, di notte si divertiva. Divenne un esempio. Ora è medico sportivo e gravita ancora nel mondo del calcio. [...] ”Ho iniziato a studiare grazie a mio fratello. Lui ha dedicato gran parte della vita alla medicina. La sua passione mi ha contagiato. Solo che la mia famiglia non era tanto agiata. Mio padre faceva il pilota mentre mia madre la casalinga. Così il calcio mi è servito come investimento per gli studi. Avendo questa doppia possibilità l’ho sfruttata. Mi sono buttato sia nell’università che nel calcio. E divertendomi mi sono pagato la mia passione [...] Nel 1967 rifiutai il passaggio al Cesena e chiesi di andare alla Reggiana. A Parma c’era l’università e a Reggio avrei potuto trovare la tranquillità giusta per studiare. Anche qualche anno dopo, nel 1969, quando la Reggiana precipitò in serie C, io non accettai il trasferimento a Brescia. Divenni il beniamino dei tifosi, che pensarono lo avessi fatto per amore. Ciò era in parte vero, perché Reggio Emilia è una città a misura d’uomo e i reggiani sono persone fantastiche. Ma in verità la dirigenza mi convinse garantendomi un posto in un laboratorio di biologia all’ospedale Santa Maria. La cosa penalizzò la mia carriera di portiere, ma a me non importava. Ho sempre visto il calcio come un hobby, perché era la professione che mi attirava di più. [...] I carichi di lavoro non erano intensi e il calcio è un’attività con mille pause. La mattina studiavo un paio d’ore e un altro paio d’ore la sera. Sotto esame caricavo di più. Mi rendo conto però che oggi Vieri non può laurearsi in fisica. Ma magari se volesse, senza passare dal Cepu, potrebbe leggere un libro al mese. Gli farebbe bene. Ci sono lauree che si possono conseguire più facilmente di altre. Quando io ero sotto esame ripassavo ovunque. Per esempio, l’esame da otorinolaringoiatra l’ho preparato studiando sul pullman. I miei ricordi di quell’epoca sono legati sia alle partite sia al tipo di esame che preparavo. [...] Il ”68 ha segnato la mia vita. In quel periodo ero alla Reggiana. Stavamo in un residence, il ”Villa Granata’, e facevamo la vita da scapoli. Di fronte al residence c’erano le officine dei treni, le più importanti d’Italia nel campo delle ferrovie. Beh, eravamo i dirimpettai degli operai: frequentavamo lo stesso bar, giocavamo a carte insieme, parlavamo dei nostri problemi e dei loro. I loro erano problemi ”rivoluzionari”, perché gli operai erano immersi in mille difficoltà. Noi gli davamo una mano psicologica. Io allora ero impegnato nel movimento studentesco. Ero il classico amico di tutti. Uno che, nel suo piccolo, cerca di capire la classe più bassa, gli operai e gli scioperi. Con me facevano politica anche altri compagni di squadra: Passalacqua, Ramacciotti, Stefanello. Una mattina c’era un picchetto davanti alla fabbrica. Noi tornavamo da una partita. Scendemmo col pullman dalla Villa Granata e andammo lì. Dalla mensa rubammo le cose e gliele portammo. Durante il periodo dell’occupazione entrai anche in fabbrica. Era un modo per cercare ragazze [...] La nostra vita era semplice. Frequentavamo chi ci capitava di frequentare. Io non sono mai stato un estremista, anche perché come calciatore sarei caduto nel ridicolo. I tifosi di destra erano pochi ma mi avrebbero cercato se avessi fatto qualche dimostrazione di estremismo. Anche se devo dire che Berlinguer su di me ebbe un grande ascendente. Per noi era un leader. [...] Chinaglia era uno che ti rompeva le balle e io, da buon portiere, odiavo le punte: Boninsegna, Riva, Chinaglia, li odiavo tutti. Chinaglia lo offesi in una partita, lui reagì con una mezza testata e fu espulso. Rifiutò le mie scuse. [...] Io sono sempre stato equilibrato dal punto di vista fisico e comportamentale. Difficilmente bevevo, difficilmente fumavo» (Gabriella Greison, Matteo Lunardini, ”il manifesto” 3/6/2004) • Nel 2009 candidato consigliere comunale a Reggio Emilia. Per la Lega Nord: «’Il pugno chiuso in campo l’ho fatto una volta sola. Cesena-Roma 2-2: Cordova batte a colpo sicuro di testa, io paro e salvo il risultato. La curva mi osanna e io li ringrazio così, con quel gesto”. Lamberto Boranga è uno e centomila. Portiere simbolo negli anni della contestazione, spirito di sinistra, basetta guascona. Ma anche bilaureatoe poeta. [...] Un calciatore comunista che si candida per la Lega. Più strano di un portiere che tira i rigori... ”Dicevano che era strano pure che un calciatore professionista prendesse due lauree in biologia e medicina mentre giocava... [...] Io avevo un atteggiamento rivoluzionario, ma né militante, né contestatore. Eravamo giovani baldanzosi e privilegiati che pensavano di combattere il potere e il capitalismo, di difendere il proletariato. Per questo il passaggio alla Lega è stato molto automatico [...] Io ero affascinato da Che Guevara e da Enrico Berlinguer, che era l’unico vicino alla gente. Come il Carroccio oggi [...] io nel partito non mi sono mai identificato! Il Pci è finito, è come il Risorgimento o il Medioevo. Inutile pensarci. Io stimavo le persone e gli ideali, ma quegli ideali sono stati distorti [...] la sinistra è sparita da anni. Fanno politica per professione, come io faccio il cardiologo. Pensano ai loro interessi [...] io al calcio devo tutto. Neanche la medicina mi ha dato tanto. Però ho sempre voluto conoscere la gente e le cose. Quando giocavo a Cesena, studiavo. E una volta all’esame di anatomia fece irruzione il movimento studentesco. Certe cose, come l’autunno caldo, le ho vissute. Avevo il polso della situazione sociale e sentivo il dovere di parlarne [...] La politica mi ha portato contrasti e fastidi, mai benefici. Ai tempi eravamo un bel gruppo, tutti di sinistra. Una volta stavamo discutendo dell’aborto e arrivò Bersellini: ci zittì in un secondo [...]”» (Marco Zucchetti, ”Il Giornale” 28/4/2009).