b, 3 giugno 2004
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GHIAUROV Nicolai. Nato a Velingrad (Bulgaria) il 13 settembre 1929, morto a Milano il primo giugno 2004
GHIAUROV Nicolai. Nato a Velingrad (Bulgaria) il 13 settembre 1929, morto a Milano il primo giugno 2004. Cantante lirico. Basso. «Nato in Bulgaria, cittadino italiano, marito di Mirella Freni. Esordiente come attore, debuttò come Basilio a Sofia nel 1955, due anni dopo era al Bolscioi nel Boris Godunov, la sua opera-simbolo: spartito di cui ha interpretato tutti i ruoli di basso e che ha cantato in ogni teatro del mondo sia nella versione tradizionale russa (anche con Herbert von Karajan) sia in quella originale (preparata con Claudio Abbado), oltre che più volte in italiano. Filippo II, Attila, Fiesco, Padre Guardiano, Zaccaria, Banco, Ramfis e via dicendo: cantante-attore straordinario Ghiaurov ha regalato ai ruoli verdiani una statura vocale e poetica modernissima e memorabile. Non meno storica la sua presenza di interprete della letteratura operistica russa e, nei primi anni, rossiniana e mozartiana. Voce unica e inconfondibile, impasto felice di vibrante timbro slavo e nobile lucentezza italiana, accento rapace e umanissimo, Ghiaurov negli ultimi anni - oltre a affrontare nuovi ruoli, come quello di Dosifej in Kovanchina - cantava spesso e con sempre maggiore trasporto in Evgenij Onegin, forse perché racconta del sorridente matrimonio tra un nobile basso e un tenero soprano. Ed era facile trovare Nicola (come lo chiamavano a Modena dove abitava) in teatro per ascoltare e spalleggiare la sua Mirella; e vedere lui, abituato a essere zar e imperatore sulla scena, ogni volta smarrito, emozionato e poi felice negli occhi cerulei: come un fidanzato» (Angelo Foletto, ”la Repubblica” 3/6/2004). «Il Lacerato spirito, una delle più belle arie verdiane per basso, a metà del prologo del Simon Boccanegra, termina con l’invocazione di Fiesco ”prega, Maria, per me”: tutte note brevi e regolari (pre-ga-Ma-ri-a-per) e una lunga (me). Quest’ultima nota è un fa diesis grave, altezza che incute un certo timore ai bassi che l’affrontano, anche in ragione della sua lunga durata. Ecco perché, sfruttando l’indicazione verdiana ”allargando”, quasi tutti i bassi prendono un bel fiato prima della sillaba ”per”, spezzando di fatto la frase in due: ”prega, Maria, (fiato) per me”. Nicolaj Ghiaurov no, la sosteneva tutta d’un fiato, come recita la partitura, lasciando così emergere ancor più intensamente quel misto d’odio e disperazione che sono i tratti inconfondibili del personaggio di Fiesco, almeno in tale fase dell’opera. Questo è un esempio - e molti altri se ne potrebbero fare - di tecnica asservita all’interpretazione. La tecnica (gran fiato, nessuna paura della nota profondissima e lunga) è necessaria, ma occorre anche l’intelligenza dell’interprete di rango che sa come sfruttarla. Possedeva e l’una e l’altra Ghiaurov [...] Perciò sarà ricordato come uno dei più grandi bassi che abbiano calcato le scene dei teatri d’opera nel Novecento. Ma è doveroso menzionare anche un’altra delle frecce che Ghiaurov possedeva al suo arco d’artista. A sentire una qualunque delle circa 60 incisioni operistiche da lui lasciate, si nota come la dizione sia sempre stata nitidissima, in tutte le fasi della sua carriera; cosicché l’ascoltatore non perde una parola, nonostante il musicista avesse una voce scura di timbro e decisamente ampia di volume: quasi una contraddizione. Ma non per lui, che verrà certamente ricordato anche per l’imponente presenza scenica: uno di quei bassi ieratici, cui la sola voce e quel tanto di carisma bastava per tratteggiare personaggi davvero «vivi» e temibili sulla scena. Nato in Bulgaria, una terra che ha dato altri cantanti di elevata statura come Boris Christoff, Ghena Dimitrova e Nicolaj Ghiuselev, ha debuttato nel ’55 come Basilio nel Barbiere di Siviglia di Rossini, che certo non era l’autore più congeniale a lui. Ha esordito subito dopo al Bolscioi e alla Scala nel ’59 come Boris, al Covent Garden nel ’62, al Metropolitan nel ’65 e a Salisburgo nel ’66 (dove Karajan per una memorabile edizione dell’opera di Musorgskij) e da allora ha sempre preso parte con regolarità alle stagioni di tutti i maggiori teatri d’opera del globo, Vienna e Parigi compresi. Difficile dire in quali parti si sia particolarmente distinto, perché le sosteneva bene tutte. Se proprio si è costretti a scegliere, si pensa a quella di Boris, a quella di Filippo II (ma anche del Grande inquisitore) nel Don Carlos, di Fiesco nel Boccanegra e di Silva nell’Ernani. Viveva nel nostro Paese da anni e aveva sposato Mirella Freni; Modena era da tempo la sua città ”adottiva”» (Enrico Girardi, ”Corriere della Sera” 3/6/2004).