Varie, 2 giugno 2004
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Benitez Rafael
• Madrid (Spagna) 16 aprile 1960. Allenatore di calcio. Nel 2003/2004 condusse il Valencia alla doppietta Liga-Coppa Uefa. Dal 2004/2005 al 2009/2010 al Liverpool, vinse la Champions League del 2005 (ai rigori dopo una clamorosa rimonta in finale col Milan, da 0-3 a 3-3, rivincita rossonera nella finale 2007, 2-1). Nel 2010/2011 all’Inter, dimissioni a dicembre dopo la vittoria nel mondiale per club • «[...] non sembrava un predestinato. Ha giocato nelle giovanili del Real Madrid e poi solo in terza divisione. Nel frattempo si è laureato in Educazione fisica nel 1982. Ha fatto benissimo come allenatore dell’under 19 del Real Madrid, vincendo campionato e Coppa di Spagna. Soldi, però, pochi. Così ha continuato nel suo lavoro di personal trainer nella palestra di Madrid [...] Ha fallito le prime due esperienze in panchina, licenziato dal Valladolid e dall’Osasuna. Poi ha fatto il miracolo di portare in serie A l’Extremadura e lì ha avuto l’illuminazione: si è fermato un anno ed è andato in Italia e in Inghilterra a “studiare calcio”. Tra i tanti, da Sacchi, che venera ancora. E oggi ride sempre quando gli viene ricordata la celebre frase che l’Arrigo ripeteva sempre a chi gli diceva che essere stato un calciatore ad alto livello aiuta a essere un allenatore migliore: “Hanno mai chiesto a un fantino, per essere un vincente, di essere stato prima un cavallo?”. [...] il suo credo calcistico [...] “Le mie squadre di riferimento sono il Barcellona di Cruijff, il Real di Toshack e il Milan di Sacchi, il più grande allenatore dell’era moderna [...] Il football è diventato marketing e star system. [...] Difesa solida e contrattacco: è questo il tema dominante del calcio moderno. Pressare gli avversari fa alzare la percentuale dei loro errori. È matematico” [...] ha il sorriso sempre pronto, ma sa essere un duro. È affabile, ma molto ambizioso. Vicente Del Bosque lo prese come suo secondo al Real ma poi gli ha tolto il saluto dopo le sfide (perdute) contro il Valencia allenato dall’allievo. Non si è fatto la cattiva fama di Mourinho, l’antipatico, ma sa tenere il punto. A Valencia entrò in rotta di collisione con il direttore tecnico, Jesus Garcia Pitarch. Benitez voleva Samuel Eto’o e Pitarch si presentò con l’uruguaiano Nestor Canobbio. “Ho chiesto un divano, mi ha portato una lampada”. [...]» (Luca Valdiserri, “Corriere della Sera” 5/5/2005) • «[...] genio impiegatizio [...] che in patria definiscono “hombre sin leyenda”. Meticoloso, studioso, metodico, ma meno carismatico di un elenco telefonico. Sta in panchina o dietro al microfono come fosse dietro uno sportello, col suo sorriso mite e schivo. Ha fatto una lunga gavetta, ha studiato viaggiando anche in Italia il calcio di Sacchi, Ranieri e Capello, l’obiettivo che persegue è [...] quello di “una squadra che abbia la mentalità difensiva italiana e quella offensiva spagnola”. [...] ammiratore di Sacchi (“La mia idea si avvicina a quel suo Milan: una squadra tecnica e aggressiva che non fa giocare gli altri e appena ha la palla vuole arrivare in porta con pochi passaggi, oppure più tocchi ma rapidi”) [...]» (Emilio Marrese, “la Repubblica” 5/5/2005) • «Madrileno in cui qualcuno vede un nipotino di Arrigo Sacchi [...] impiegò tempo a farsi benvolere e a sconfiggere l’ombra di Hector Cooper (poi interista)» (Luca Caioli, “Corriere della Sera” 2/6/2004) • «La sua prima squadra, Benítez l’ha schierata su uno sfondo verde militare. Non erano calciatori, ma soldatini di Stratego un gioco di tattica che ha insegnato all’allora piccolo Rafael cosa è la perfezione e di conseguenza anche la fissazione. Aveva 12 anni e lì ha imparato un metodo che non ha mai mollato, è diventato un fanatico convinto che esista sempre una strada giusta per la vittoria, questione di trovarla. Il Rafael dodicenne ha perso una finale di Stratego e non ci ha dormito per giorni. “C’è un esercito dell’era napoleonica che ingaggia una guerra di movimenti per rubare la bandiera al nemico, se sei scaltro, veloce e sai guardare oltre, le mosse giuste ti portano dritto dove devi andare. Se non succede hai sbagliato. Questo schema mi ha contagiato e l’ho sempre tenuto, funziona anche con il Liverpool. Riporto ogni partita a quella semplicità, pur con altre regole, ovvio”. Sì, perché dopo un paio di notti insonni a rigiocare nella mente quella sfida da tavolo, ha individuato l’errore e da allora, a Stratego, non ha più perso. “Ho capito subito che non era importante l’avversario che avevo davanti, ma come mi muovevo”. […] La moglie, Montse, conosciuta nella palestra di Madrid dove Benítez lavorava come preparatore atletico, conferma che quasi ogni notte sente il marito agitarsi e urlare i nomi dei giocatori. “Rivedo le partite nel sonno e se trovo un errore da cui ripartire, mi sveglio e metto giù le osservazioni”. […]» (Giulia Zonca, “La Stampa” 21/3/2005).