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 2004  giugno 01 Martedì calendario

MARCHIONNE

MARCHIONNE Sergio Chieti 17 giugno 1952. Manager. Amministratore delegato Fiat (dalla fine di maggio del 2004, dopo la morte di Umberto Agnelli e le dimissioni di Giuseppe Morchio). Dal 2005 anche presidente • «[...] A Torino abita nello stesso appartamento in centro occupato in passato da Paolo Fresco e Giuseppe Morchio. Poche apparizioni pubbliche, nessun braccio destro, comportamento informale con i collaboratori. Allo stadio, palcoscenico preferito dalla classe dirigente italiana per raccattare consenso, è andato una volta sola: il 18 dicembre 2004, Juventus-Milan 0 a 0, soltanto perché le riunioni a Mirafiori erano terminate da poco. La sera cena di frequente in una pizzeria a pochi isolati dal Lingotto oppure, ogni tanto, al ristorante Del Cambio nella magnifica piazza Carignano, dove la scelta cade sui piatti forti della casa: agnolotti alla piemontese e tagliata di filetto al caramello di Barbaresco. Il sabato sera la fuga verso casa, a Cham, sul lago svizzero di Zug, buen retiro ambìto soprattutto per le sue agevolazioni fiscali, dove raggiunge la moglie canadese e i due figli e dove coltiva le poche passioni private dichiarate: musica classica e letteratura russa. proprio in Svizzera che bisogna andare per capire qualcosa più dell’uomo a cui tutti, governo e sindacati, riconoscono sia ormai affidato il futuro dell’auto in Italia. Marchionne vi arriva nel ’94 dal Canada, dove era emigrato da bambino e dove fa gli studi da commercialista e da avvocato. Lavorando in quel gruppo Lawson che per un breve periodo entra nell’orbita di Sergio Cragnotti, per passare poi all’Alusuisse. Marchionne si trasferisce così a Zurigo, dove scala l’organigramma del gigante dell’alluminio in crisi. Partecipa al suo risanamento e si guadagna, per le dismissioni effettuate e i tagli occupazionali, il soprannome di ”becchino dell’industria svizzera”, affibbiatogli dal quotidiano ”Tagesanzeiger”. Gli azionisti, però, ringraziano e nel 2000 Marchionne assume la guida del Lonza Group, divisione ormai autonoma di Alusuisse nella chimica e nella biofarmaceutica. Nel 2002 passa alla guida della ginevrina Sgs, colosso (36 mila dipendenti) dei sistemi di certificazione che vede fra gli azionisti di controllo la famiglia Agnelli. In Svizzera, dunque, Marchionne si costruisce una rete di relazioni che contano. Entra nel consiglio di amministrazione della Serono, il gruppo farmaceutico guidato da un altro emigrante italiano, questa volta di lusso, Ernesto Bertarelli. In Sgs c’è invece Dominique Auburtin, dal 1999 presidente della Worms, ricca provincia parigina degli Agnelli, dai quali nel 2004, all’uscita di Giuseppe Morchio, arriva la chiamata in Fiat. Gianluigi Gabetti, custode degli interessi della famiglia in Ifi e Ifil, deve averne apprezzato il lavoro in Sgs. Il bilancio 2004 della società, l’ultimo a cui Marchionne ha dato un contributo come guida operativa, lo ringrazia per la ”forte leadership e l’infaticabile energia” con cui ha iniziato ”un processo di fondamentale e duratura trasformazione”. Oltre alle lodi, gli onori: la carica di vicepresidente, retribuito con 200 mila franchi svizzeri all’anno. A Torino l’infaticabile energia di Marchionne è stata subito messa alla prova. Oltre all’ufficio che gli spetta al Lingotto, sede della holding Fiat, ne ha occupato anche uno al secondo piano della palazzina di Mirafiori [...] Nei reparti vengono citate le sue numerose visite a sorpresa, in perfetta solitudine. [...]» (Luca Piana, ”L’Espresso” 3/3/2005). «Per qualche giorno, nei turbolenti mesi che precedettero lo sbarco di Giuseppe Morchio al Lingotto, il nome di Sergio Marchionne era circolato, negli ambienti internazionali e in maniera più soft in Italia, come possibile candidato alla poltrona di amministratore delegato della Fiat. Erano state sufficienti queste indiscrezioni a far sì che il titolo della Sgs (Societé Generale de Sourveillance) di Ginevra, azienda leader mondiale nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, da lui ancora oggi diretta, subisse una severa batosta a conferma dei timori per un suo eventuale abbandono. [...] Marchionne è apprezzato negli ambienti finanziari anglosassoni soprattutto alla luce dei risultati acquisiti in pochi mesi in Sgs, durante i quali è riuscito a passare da una redditività piuttosto bassa al suo arrivo al raddoppio degli utili. Di nazionalità italo-canadese [...] è dottore commercialista (Institute of Chartered Accountants in Canada) dal 1985 e procuratore legale e avvocato (nella regione dell´Ontario) dal 1987. Ed è sempre in Canada che ha inizio la sua carriera professionale. Nel biennio ’83-85 ha infatti esercitato la professione di dottore commercialista, esperto nell’area fiscale, per la Deloitte & Touche; nei tre anni successivi è stato controller di gruppo e poi director dello sviluppo aziendale presso il Lawson Mardon Group di Toronto per diventare subito dopo vicepresidente esecutivo della Glenex Industries e tra il ’90 e il ’92 vicepresidente per la finanza e chief financial officier alla Ackland Limited. A seguire ha ricoperto a Toronto la carica di vicepresidente per lo sviluppo legale e aziendale, di chief financial officer e di segretario al Lawson Group, acquisito da Alusuisse Lonza nel ’94, il gruppo di Zurigo dove nel ’90 è approdato alla carica di amministratore delegato per poi diventare ad e infine presidente di Lonza Group Ltd. Nel febbraio del 2002 viene nominato ad del Gruppo SGS di Ginevra, un colosso che oggi è presente con 38mila dipendenti in tutto il mondo. lì che nel maggio 2003 lo raggiunge la proposta di entrare a far parte, come indipendente, nel consiglio della Fiat. Il suo ingresso segue la ristrutturazione che porta sotto l’ombrello di Ifil anche la Fiat. Marchionne entra nel board del Lingotto assieme al presidente della Davide Campari di Milano, Luca Garavoglia; sostituiscono Gabriele Galateri e Alessandro Barberis, ovvero gli ultimi ad della Fiat prima di Morchio. Nella scelta del manager c’è la mano di Umberto Agnelli, che mostra di voler rompere col passato portando in Fiat giovani e con esperienze acquisite fuori dai confini domestici» (s. t., ”la Repubblica” 1/6/2004). «Carismatico, esigente, rigoroso ai limiti della durezza. Una fama di ”risanatore”. Italiano di origine, canadese di formazione, ma carriera maturata tra Ginevra e le Alpi svizzere. E un principio di comportamento tanto semplice quanto efficace: ”Mi sveglio, e voglio che alla sera i risultati ottenuti siano migliori di quelli che trovo la mattina”. [...] a Toronto che si laurea in filosofia, prende un master in business administration, diventa dottore commercialista e poi avvocato nel 1987. Lavora in due riprese al Lawson Mardon Group, arrivando alla carica di direttore finanziario tra il ’92 e il ’94. Il gruppo Lawson è conosciuto alle cronache finanziarie italiane: fa imballaggi e packaging, e tra il ’90 e il ’91 passa dalle mani della Montedison a quelle della neonata C& P di Sergio Cragnotti. A Cragnotti non porterà fortuna: dovrà vendere il gruppo nel 1994, e poi l’autorità di Borsa dell’Ontario lo interdirà dopo averlo accusato di pratiche di insider trading. A comprare il pacchetto di azioni Lawson è la svizzera Alusuisse-Lonza, e a 42 anni Marchionne ne segue le sorti, attraversa l’oceano e sbarca alla corte del gruppo elvetico che in quel periodo lavora nell’alluminio e nella chimica. a Zurigo che fa velocemente carriera, diventando (anche lì) amministratore delegato. sempre a Zurigo che viene a contatto con un altro finanziere, ben noto anche sul versante sud delle Alpi: Martin Ebner. il ’98, e Alusuisse-Lonza entra nel mirino di ”Martin la Volpe” ( è stato anche socio di rilievo di Pirelli), che con una delle sue operazioni da raider si piazza tra i maggiori azionisti con più del 20%. Marchionne si occupa soprattutto di strategie industriali e negli anni delle mega aggregazioni vive sulla sua pelle due mancate fusioni di grande respiro: una con i tedeschi della Viag - sarebbe nato un gruppo da 50 mila miliardi di vecchie lire - e una con la francese Pechiney e Alcan (canadese) per creare un polo mondiale dell’alluminio. Malgrado i suoi sforzi alla fine andrà in porto solo l’unione con quest’ultima. Poi, ad affondare, sarà anche Ebner, messo in ginocchio dalla crisi delle borse e costretto a svendere le sue partecipazioni. Il manager italo-canadese diventa presidente di Lonza al suo posto e, nel 2002, si misura con il compito di rimettere in carreggiata la Sgs (società delle ispezioni e certificazioni aziendali). In quest’ultima, controllata dalla famiglia von Finck (socia di Alusuisse) e dalla Worms dell’Ifil, Marchionne incontra gli uomini Fiat. Che evidentemente arrivano a stimarlo, tanto che lo scorso maggio lo invitano ad entrare come amministratore indipendente nel ”board” del Lingotto, una poltrona che si aggiunge a quella nella Serono, il gruppo del romano (ma svizzero di adozione) Ernesto Bertarelli» (Stefano Agnoli, ”Corriere della Sera”1/6/2004). «[...] ha incassato nel 2005 una busta paga da 8,3 milioni di euro [...] Il vero asso nella manica di Marchionne è però in prospettiva il pacchetto di stock option che gli è stato assegnato da Fiat. Dal 2008 infatti potrà acquistare a tranche oltre 10 milioni di azioni del gruppo a 6,58 euro. [...]» (e.l., ”la Repubblica” 8/3/2006). «In Italia arriva nel maggio del 2004, quando, dopo la morte di Umberto Agnelli, la Fiat deve darsi un nuovo vertice. Luca Cordero di Montezemolo assume la presidenza della società e Sergio Marchionne la carica di amministratore delegato. La sua nomina lascia tutti un po’ perplessi: erano circolati nomi ben più importanti e conosciuti. La battuta più diffusa in quei giorni era: Marchionne chi? A farmi cambiare opinione nel giro di pochissimi giorni sono stati un paio di banchieri. Il primo mi ha detto, molto semplicemente: ”Guarda che Marchionne è uno dei cinque migliori manager oggi esistenti in Europa. Puoi stare sicuro che farà bene. adorato dagli azionisti, dai mercati, dalle banche d’affari, dagli hedge fund, dagli analisti perché ovunque sia andato nel giro di pochissimo ha raddoppiato il valore delle azioni delle società a lui affidate”. Il Marchionne che sbarca a Torino si segnala subito per uno stile diverso. Sta chiuso in ufficio, lavora, taglia ricuce. Non lancia proclami attraverso i giornali. Non va ai convegni. Non parla, insomma. Lavora e basta. Il secondo banchiere che mi spiega un po’ di Marchionne lo incontro all’epoca della trattativa Fiat-General Motors intorno al famoso accordo, in base al quale gli americani, pagando una certa somma, potevano prendersi tutta la Fiat Auto. Oppure se ne potevano andare. La Fiat puntava a farli uscire, ma facendosi pagare un montagna di denaro, più di un miliardo di dollari. Pochi pensavano che la Fiat avrebbe raggiunto il suo scopo: liberarsi degli americani e portare a casa moltissimo denaro. ”Secondo me - mi spiegò il banchiere - , Marchionne ci riuscirà. E è l’unico che può farcela. Vedi, noi banchieri d’affari siamo tutti bravi in inglese, lo abbiamo imparato nelle migliori scuole, abbiamo fatto gli stages all’estero, ma lui dentro quella lingua e quella cultura ci è nato. E questo fa la differenza. Lui sa come si fa a mandarli a quel paese nella loro lingua. Lui sa come spaventarli. Inoltre, è bravo e vedrai che torna dall’America con i soldi in tasca”. In effetti le cose sono andate proprio così. Marchionne ha messo la General Motors fuori dalla Fiat e gli americani hanno pagato per potersene andare. Per il resto il suo miracolo a Torino è stato fatto con una ricetta abbastanza semplice: rimettere tutta l’azienda a fare auto e ridurre il massiccio indebitamento con ogni mezzo. Insomma, niente sciocchi sogni di allargamento della Fiat a destra e a sinistra, ma la barra dritta al centro: là dove si costruiscono automobili per la gente, da vendere alla gente. I due obiettivi sono stati inseguiti con una determinazione che forse solo un abruzzese-canadese-svizzero poteva avere. andato avanti per la strada già segnata. Tutto quello che non aveva a che fare con l’auto è stato messo fuori, ceduto, venduto. E dentro il settore auto si è ripreso a lavorare con una motivazione forte, con la decisione di lanciare sul mercato molti nuovi modelli e tutti con un robusto sostegno di marketing. Insomma, la Fiat vive, la Fiat è tornata. Naturalmente, non è andato in televisione o sui giornali a spiegare queste cose, ha lasciato che fossero altri a farlo. Lui è sempre rimasto al Lingotto a tirare su i conti. I fatti, come sempre, alla fine gli hanno dato ragione. La Fiat che nel 2002 sembrava fallita e che anche nel maggio del 2003, quando lui arriva a Torino, non se la passa tanto bene, oggi è un’altra cosa. La Fiat Auto, che non vedeva un utile dal 97, è tornata in positivo e la Fiat nel suo complesso si è rimessa a guadagnare soldi» (Giuseppe Turani, ”la Repubblica” 31/1/2006).