varie, 31 maggio 2004
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Smith Robert
• Blackpool (Gran Bretagna) 21 aprile 1959. Cantante. Chitarrista. Dei Cure • «Da venticinque anni si fa immaginare come un artista che vive nel buio, divorato da dubbi amletici, tormentato da amori incofessati e incoffesabili. Robert Smith ha fatto del suo gruppo, i Cure, l’emblema della ”dark generation”, la generazione oscura, clonando una miriade di creature in tutto il mondo che si pettinano come lui, si vestono come lui, ascoltano solo quel che ascolta lui. Tre anni lontano dalle scene non l’hanno cambiato. Gli stessi capelli corvini che gli piovono sugli occhi grossolanamente bistrati, lo stesso rossetto sbafato che gli sfigura le labbra, la solita collanina sul collo villoso deturpato dalla follicolite, una naturale tendenza alla pinguedine che (anche quella) i suoi fan imitano volentieri. [...] La luce non gli ustiona la pelle, come ci ha fatto credere per anni, né gli irrita l’iride, che è piccola, verdissima, indagatrice come una microscopica telecamera che scruta l’interlocutore per catturarne tutti i segreti in pochi istanti. Dietro la maschera dell’eterno adolescente maladive, Smith [...] vive nella campagna inglese a sud di Londra, ha una moglie e nessun figlio. ” stata una scelta”, dice, ”abbiamo venticinque nipoti che ci gironzolano intorno, è più che sufficiente per saziare il nostro naturale bisogno di prole. Sarà anche egoistico, ma l’idea di essere padre mi mette parecchio a disagio [...] Per tutta la vita mi sono detto, non voglio arrivare a quarant’anni e improvvisamente scoprire che questo è un lavoro come un altro. E allora esco allo scoperto solo quando ho la giusta ispirazione, senza l’ossessione di dovermi svegliare la mattina e dire, oh no, sono ancora il cantante dei Cure [...] Se sei famoso, tutto ti è permesso, il tuo operato è esente da qualsiasi valutazione morale. Mi irrita da morire quando qualcuno dei miei nipotini mi dice, dev’essere una pacchia fare la vita che fai, non tanto per quello che faccio, ma solo perché sono famoso [...] Avevo 14 anni quando esplose il caso Ziggy Stardust. Ero troppo giovane, ma ebbi un’insana passione per Station to station, quel tour in bianco e nero in cui proiettavano Un chien andalou di Luis Buñuel. Bowie, Hendrix e il campione di calcio George Best erano i miei tre idoli, i miei eroi. Poi arrivarono i Sex Pistols e fu la rivoluzione, dentro di me e nei miei gusti musicali. E non avevo ancora diciotto anni» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 31/5/2004).