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 2004  maggio 31 Lunedì calendario

AGNELLI Andrea

AGNELLI Andrea Torino 6 dicembre 1975. Manager. Figlio di Umberto (e Allegra Caracciolo). Dal 19 maggio 2010 presidente della Juventus • «[…] si è messo in proprio, creando una suo Fondo di investimento e per questo lasciando l´incarico nella divisione Investimento strategico dell´Ifil, ovvero la holding di famiglia nella quale il padre aveva avuto un ruolo importante negli anni del suo lungo «esilio» dalla Fiat. Il nuovo Fondo di cui sarà amministratore delegato si chiama Lamse, ha sede a Torino e si pone come obiettivo quello di realizzare investimenti diretti acquisendo partecipazioni da 3 milioni di euro e inoltre rilevare indirettamente quote tramite un Fondo britannico in imprese valutate tra i 50 e i 300 milioni di euro. [...]» (Salvatore Tropea, “la Repubblica” 13/3/2007) • «Dopo l’università, ha avuto varie esperienze nel mondo del marketing. Consigliere di amministrazione della Fiat, nel settembre 2005 si è sposato a Villar Perosa con Emma Winter ed è papà di una bimba, Baya. Carattere simpatico, allegro, sorridente, Andrea è da sempre un tifosissimo bianconero. Fin da ragazzino ha frequentato la squadra ed è amico di molti giocatori, tra cui Del Piero. Dopo la prematura scomparsa del fratello Giovannino (figlio della prima moglie di Umberto, Antonella Piaggio) e poi dello stesso Umberto, Andrea è diventato il numero 1 degli “umbertiani”» (Paolo Forcolin). «Discreto per carattere, è un giovane dal piglio deciso vissuto per ora dietro le quinte, lontano dai riflettori. La maggior parte delle immagini pubbliche che lo ritraggono insieme al padre sono quelle al Delle Alpi, in tribuna, a gioire o a soffrire per le imprese e i passi falsi della Juventus. E proprio con la Juve, nel settore marketing, era entrato nel mondo del lavoro dopo il diploma a Oxford e la laurea alla Bocconi. “Un bel ragazzo posato, riservato e soprattutto semplice”, racconta chi l’ha incontrato sui campi da golf dei circoli I Roveri e Torino, che si estendono nella vasta tenuta della Mandria, a due passi da casa. Terminata l’esperienza in bianconero, Andrea è passato alla Ferrari [...]. Curava, in particolare, iniziative promozionali online. Da qualche tempo lavorava però a Losanna come manager external communication per conto della Philip Morris: si occupava di sponsorizzazioni. “Dà del tu a Schumacher - racconta sempre chi lo conosce - ma non si è mai montato la testa per il cognome che ha. Addirittura, spesso porta le bibite ai meccanici della Ferrari accaldati ai box”» (Marco Accossato, “La Stampa” 31/5/2004). «L’ultimo degli Agnelli è il più impenetrabile di tutti. Occhi scuri sotto spesse soppracciglia, Andrea non ama parlare di sé, trincera la sua vita privata dietro al sorriso che gli viene facile, che non nega mai a nessuno. La Juve per Andrea è passione vera, più che dovere di famiglia, più che tifo scontato se hai i giocatori della squadra più forte d’Italia che s’allenano nel giardino di casa. Gli spalti dello stadio sono l’unico luogo pubblico in cui Andrea tradisce qualcosa di sé. Non ce la fa a stare fermo. Le dita affusolate si rincorrono nervose, gli occhi vanno da una parte all’altra del campo senza distrarsi un attimo, la voce con la sua immancabile erre arrotata gli muore in gola quando un’azione si fa troppo emozionante. S’agita e si scompone. Per uno che fa di tutto per evitare che si sappia di lui più di quello che ha deciso di voler dire, la partita della Juve è una tortura, alla quale non sa sottrarsi. Di Andrea Agnelli s’è sempre detto che sarebbe finito alla Juventus, un po’ perché la squadra è stata gestita dalla sua parte di famiglia, da papà Umberto un po’ perché le spartizioni sono sempre nell’aria nelle grandi dinastie, un po’ perché l’amore per il marchio, se così si può dire, lo fa rendere al meglio. Lo aveva già dimostrato quando aveva lavorato al licensing di Ferrari, facendo la spola tra Maranello e la Svizzera e le città ospiti della Formula Uno. Non stava fermo un secondo, era sempre sballottato di qui e di là a occuparsi di cavallini e club di fan mischiati con la gioia della vittoria negli anni in cui rosso era rosso, senza macchie, non riusciva a fermarsi a Torino – non ditegli mai che non vi piace Torino, s’arrabbia sul serio – abbastanza ore per farsi contagiare dalla malinconia, era perfino costretto a saltare le partite della Juve. Ma si divertiva come un pazzo, ogni racconto era un aneddoto, che gli usciva ridendo davanti a un bicchiere di vino senza sembrare esoso neppure a chi al massimo si spostava da Milano a Segrate. In Svizzera l’ultimo degli Agnelli ha trovato una sua dimensione: strano a dirsi se si considerano le orde di ragazzi italiani che non si adattano mai a vivere nei verdi e noiosi cantoni per inseguire sogni da banchieri o semplicemente saltare il militare. Ma Andrea è uno che s’adatta, è difficile che faccia i capricci e, soprattutto, sa come salvaguardare le sue passioni, i suoi affetti. Anche a distanza. Anche se passano i mesi. Ricompare all’improvviso e con una battuta ha già riconquistato il tempo perso. A Losanna, ha lavorato a lungo per Philip Morris, sempre nell’ambito della comunicazione, restando defilato rispetto a quello che succedeva a Torino, ma comunque vigile. Quando Umberto è mancato, è tornato. Già alla morte di Giovannino, il fratello maggiore che era come un’ala che lo proteggeva nonché l’erede degli Agnelli, Andrea aveva cominciato a essere più presente, con la sorella Anna e un vuoto da riempire. Ma ancora era presto per restare, per esserci sempre. C’era ancora tempo per formarsi fuori dalle aziende di famiglia, per costruirsi una competenza, una personalità che non fosse clone di qualcuno. Poi s’è detto che non andava d’accordo con i cugini Elkann: troppo diversi, sia negli stili di vita sia negli interessi da difendere. Alcuni pensavano che ci fosse rimasto male del fatto che, dopo Giovannino, l’Avvocato avesse scelto i suoi nipoti e non lui come successore, ma allora Andrea aveva tutt’altro per la testa, soffriva della mancanza di suo fratello, giocava con la nipotina, figlia di Giovanni, e sperava che pronunciasse come prima parola “Juve”, non voleva essere immischiato troppo negli affari di casa, non sopportava di diventare celebre e di doversi sorbire tutte le costrizioni, a partire dalle guardie del corpo alle quali devi rendere conto di tutto ciò che fai. Voleva ancora essere libero di andare a giocare a golf, di andare e venire dalla Svizzera a sorpresa, di passare le serate a casa con gli amici, birra e partita, donne ammesse ma solo se tolleranti. Poi papà è morto. Allora Andrea s’è organizzato per tornare a Torino, ha messo al mondo una bimba con la sua fidanzata inglese, Emma – l’amore per l’Inghilterra e un inglese con accento british impeccabile sono l’eredità degli anni trascorsi a Oxford, prima d’iscriversi in Bocconi – ha celebrato un matrimonio con “solo 200 invitati”. È entrato senza far rumore all’Ifil e poi subito si è distinto con la sua strategia autonoma: continuità umbertiana e intuito di uno che è stato fuori dalla mischia sapendo bene da dove volavano gli schiaffi. L’ultimo degli Agnelli» (“Il Foglio” 9/5/2006).