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 2004  maggio 30 Domenica calendario

Rendell Ruth

• (Ruth Grasemann) Londra (Gran Bretagna) 17 febbraio 1930. Politico. Scrittrice • «Scrive di homeless, di gay, di violenze domestiche, stupri, razzismo, temi appassionati della sua agenda parlamentare, per raccontare storie di assassini e delle loro vittime, dei tanti colpevoli e dei quasi inesistenti innocenti, di tutta quella folla anonima che rappresenta il lato oscuro e minaccioso dell’apparente rispettabilità, quella che cela da sempre insospettabili psicopatici, affascinanti maniaci, violenti irresponsabili, solitari perduti nelle loro ossessioni segrete. [...] ”Il romanzo, soprattutto il thriller, consente di far arrivare al lettore messaggi importanti sui disastri sociali, come l’inquinamento o i pericoli causati dai gruppi spontanei di vigilantes di quartiere: naturalmente è importante non far prediche, non diventare noiosi, nascondere le idee dentro il labirinto del racconto. Ma uno scrittore, soprattutto se popolare, non può perdere l’opportunità di trasmettere le sue indignazioni e le sue convinzioni attraverso storie appassionanti: primo dovere, per me, è far sì che il lettore divori il libro sino alla fine: qualcosa di serio resterà”. [...] Baronessa socialista, la scrittrice carica di premi e multimilionaria (in sterline), è autrice di 20 polizieschi, protagonista l’ispettore capo Wexford, che ormai dovrebbe avere 92 anni visto che nel 1964, quando si accodò a tutti i poliziotti della letteratura gialla inglese, ne aveva già 52: di 29 romanzi e raccolte di racconti di quelli che lei chiama psychological mysteries, senza indagini né investigatori, e 11 romanzi firmati Barbara Vine, dove trionfa la ”banalità del male”, nell’intrico di personaggi tortuosi, inquietanti, apparentemente del tutto insignificanti e innocui che hanno, come titola uno dei suoi romanzi più belli, Il buio nella mente: Chabrol ne fece un film magnificamente torbido. In Italia l’hanno pubblicata Mondadori, Rizzoli e Longanesi, ma non col successo travolgente raggiunto altrove, (è tradotta in 26 lingue, compreso il bengali): per noi forse troppo poco sangue, troppo poca violenza fisica, neppure un po’ di tortura, troppa gente comune, troppe menti contorte, troppa, forse, inglesità. Ma anche perché trattandosi apparentemente di autrice di ”gialli”, la nostra critica nobile, che non trascura nessuna autobiografia di adolescente sporcacciona, diversamente da quel che succede in Gran Bretagna, non la ritiene all’altezza. [...] il primo romanzo pubblicato dalla Rendell, a 34 anni, nel 1964: l’editore Hutchinson la pagò 75 sterline. ”Allora sembrava indispensabile in un thriller la presenza di un investigatore: io me ne inventai uno che un po’ mi ricordava mio padre, un po’ esprimeva mie idee. Non certo un seduttore, come andava di moda, ma un uomo corpulento, maturo, onesto, abile nel suo lavoro, ironico e già nonno. Negli anni, non so come, piacque tanto che molte lettrici mi chiesero di farlo divorziare, o addirittura di far morire la moglie Dora, per poterla sostituire. Insomma, c´’è gente strana, più strana in giro che nei miei libri”. [...] la signora Rendell è una donna giovanile massimamente ben tenuta (corti capelli biondi, lieve abbronzatura, completo pantaloni di maglia di un singolare marroncino molto inglese, occhi chiari, sguardo leggermente minaccioso e impaziente), e vive in uno di quegli angoli affascinanti nel centro di Londra che paiono fermi all’epoca Regency: il luogo è chiamato Little Venice e la bella casa candida si affaccia, nel silenzio, su un canale in cui stazionano houseboat abitati. Il soggiorno, alto due piani, pieno di luce, ha il tetto a lucernario e si apre su un lussureggiante giardino di ortensie, dove scorazzano gatti di cattivo umore, che snobbano i tentativi di flautata conversazione della loro amorosa padrona. [...] Nata Ruth Grasemann nel 1930, alla periferia di Londra, l’attuale baronessa di Babergh è figlia di due insegnanti: la madre, svedese, è morta di sclerosi a placche quando l’unica figlia era bambina. Lasciata la scuola a 18 anni, ha cominciato a lavorare come cronista in un giornaletto locale, a 20 anni ha sposato il suo capo, Don Rendell. Ha avuto un figlio, Simon, che si occupa di psichiatria e vive in Colorado e le ha dato due nipoti oggi adolescenti: a 34 anni ha iniziato la sua carriera di scrittrice, nel 1975 ha divorziato, due anni dopo ha risposato il marito ripudiato [...] una donna attiva, che lavora con disciplina, piena di amiche, soprattutto scrittrici: come l’aristocratica storica Antonia Fraser, come l’altra celebre giallista P. D. James, anche lei Pari, però dalla parte opposta, coi conservatori, come Jeannette Winterson, (Scritto sul corpo pubblicato da Mondadori) la giovane portabandiera della scrittura lesbica inglese, che la considera ”la madre che non ho avuto”. Rendell è anche generosa ”perché è un dovere di chi guadagna molto, e quindi anche mio, pensare a chi è meno fortunato”. Non dà soldi a chi bussa alla porta né compera sciocchezze per beneficenza, però versa somme cospicue all’Istituto per i ciechi, alle organizzazioni di senzatetto, alle vittime della tortura, in difesa dell’elefante indiano. ”Viviamo in un mondo di massima ingiustizia, crudeltà e indifferenza, ma anche di benessere più diffuso, con una maggior integrazione etnica, almeno da noi, e una diffusa libertà sessuale. Il mondo è molto cambiato da quando ho cominciato a scrivere, e i miei romanzi cercano di riflettere questi cambiamenti”. Come inventa, continua ad inventare le sue torve storie, come ha inventato i personaggi di Rottweiler, l’antiquaria vedova di un attore molto amato, la troppo bella commessa asiatica, l’attraente ragazzo tonto, il giovanotto che rifiuta le donne, la più volte maritata signora che vive con un uomo troppo felice per essere sincero, le cui vite si intrecciano nel palazzetto dove tutti abitano, in un quartiere alla moda di Londra? ”La cronaca non mi interessa, non ritaglio dai giornali storie sorprendenti. Un tempo leggevo testi di psicologia, oggi osservo, penso. Non mi muovo mai in macchina, cammino molto e guardo le facce, ascolto le conversazioni, noto i gesti, mi soffermo sugli impercettibili segnali di silenziose ossessioni. Ha mai guardato con che concentrazione, o ansia, la gente sistema le cose su un tavolo, e le sposta, e le riordina? Di quale vendetta, di quale colpa, di quale affronto subito, stanno fantasticando? Nessuno è quello che vuole sembrare o essere, in ognuno di noi c’è una scheggia di pazzia sepolta dall’educazione e dalla ragione, che può improvvisamente accendersi: dopo efferati delitti i vicini dicono sempre, pareva una persona così per bene, normale, quieta, chi l’avrebbe mai detto...» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 30/5/2004).