Marina Bidetti, Macchina del Tempo, giugno 2004 (n.6), 29 maggio 2004
Maschio o femmina, a seconda delle circostanze. O meglio della convenienza. Più che una libertà è un dovere per chi, come il pesce pagliaccio, sa quanto sia importante l’armonia nei rapporti sociali
Maschio o femmina, a seconda delle circostanze. O meglio della convenienza. Più che una libertà è un dovere per chi, come il pesce pagliaccio, sa quanto sia importante l’armonia nei rapporti sociali. Questo abitante delle barriere coralline dell’Oceania e ormai anche di molti acquari, per la bellezza della sua livrea rosso-arancione con pennellate di bianco e di nero, è capace di una rapida riconversione di genere quando il gruppo perde la femmina dominante, la più grossa e l’unica che si riproduca. Allora il suo compagno, che è più piccolo, cambia sesso e stazza. E così, con un effetto a catena, si comportano gli altri membri del gruppo, per rimpiazzare i ruoli rimasti vacanti. L’ordine sociale è così ristabilito. Anche per il verme nematode il cambio di sesso non è un capriccio ma una decisione di vitale importanza per la specie. Da essa dipende la probabilità di riuscire a riprodursi e a tramandare i propri geni. Per questo il giovane verme la compie solo dopo aver verificato un fattore decisivo: la quantità di cibo disponibile. Se questo è abbondante, il giovane perderà una delle due X del suo corredo genetico e si farà maschio. Diversamente, rimarrà femmina, conservando tra l’altro l’opzione ermafrodita più spinta, quella cioè di potersi autofecondare in caso di solitudine prolungata. L’opzione doppia – quella di essere maschio e femmina al tempo stesso – è una scelta di ripiego, il male minore di fronte al rischio di non poter avere prole, di non perpetrare la propria genia. Ma è una scelta obbligata quando, per il proprio stile di vita, le occasioni di incontrare dei simili sono rare e alto è il rischio di rimanere single. Ecco dunque che si spiega la strategia del nematode: più cibo disponibile significa, infatti, più possibilità di sopravvivenza per più individui, e dunque maggiori probabilità di incontrare un proprio simile. E poiché i nematodi sono in maggioranza femmine, in questo caso essere maschio aumenta la probabilità di incontrare un rappresentante dell’altro sesso. Viceversa, se il cibo scarseggia, la popolazione si dirada ed è meglio essere femmine/ermafrodite autosufficienti. La strategia del verme nematode può apparire spregiudicata ma non è un’eccezione in natura. Sotto diverse forme l’ermafroditismo ha avuto un certo successo nel regno animale e lo si ritrova tra le specie più diverse: dalle spugne ai ricci di mare, dai lombrichi alle lumache, dai crostacei ai pesci. Ognuna con la sua peculiarità certo. Se c’è chi come il lombrico mantiene per tutta l’esistenza la condizione ermafrodita, c’è anche chi nasce femmina e poi diventa maschio e chi da maschio diventa femmina. La ragione di queste apparenti stranezze degli animali è semplice. Prendiamo il caso del lombrico o della chiocciola, animali che si muovono lentamente: per un immaginario individuo sessuato di queste specie le probabilità d’incontrare un partner ”giusto” nella stagione riproduttiva sarebbero infinite. Ma come ermafrodita contemporaneo, che dispone cioè al tempo stesso di uova e di spermatozoi, nessun incontro può andare a vuoto! Non è però autosufficiente, nel senso che non può autofecondare, per riprodursi ha bisogno di un compagno. «Anche se richiede un certo investimento energetico per il mantenimento delle due funzioni dell’apparato riproduttivo» spiega Roberto Argano, zoologo della Sapienza di Roma, «c’è una grande economia in questa scelta evolutiva. Tra l’altro, poiché entrambi i partner depongono proprie uova, la portata della performance riproduttiva di ciascuno raddoppia». Questo tipo di ermafroditismo, dunque, è una soluzione valida per le specie con scarsa possibilità di movimento o addirittura sessili, che vivono cioè ancorate a un substrato, come le ascidie, le spugne, le ostriche o i cosiddetti denti di cane che proliferano sulle rocce marine o sulle parti immerse degli scafi dei natanti. Come molti crostacei e pesci, la cernia è invece una specie ermafrodita sequenziale e proteroginica: nasce femmina e tale rimane sino a quando non ha raggiunto una certa stazza che gli consente di svolgere adeguatamente il ruolo di maschio territoriale, in perenne vigilanza contro le incursioni degli altri maschi, concorrenti nella competizione sessuale. «A queste condizioni» continua Argano «per la specie è meglio che ci siano tante giovani femmine in circolazione, alcune delle quali, quelle sopravvissute alla selezione dell’ambiente (predatori e altri accidenti), in futuro potranno diventare maschi e occupare i limitati posti disponibili nel territorio per questo sesso». Per contro, altri pesci, come l’orata dei nostri mari (e delle nostre tavole), sono specie proterandriche, che puntano cioè sull’avere molti giovani maschi per poche femmine adulte che, per dimensioni ed esperienza, sono in grado di difendersi e di produrre molte uova. Sono numerosi gli animali che praticano il cambio di sesso, dal minuscolo Thor manningi, un gamberetto di 2 millimetri, alla cernia (Epinephelus nigritus), che può misurare un metro e mezzo. Ma ancor più stupefacente è che nel farlo la maggior parte rispetti la stessa regola: il mutamento di genere avviene infatti fatalmente al raggiungimento del 72 % delle dimensioni massime dell’individuo. Lo hanno scoperto David Allsop e Stwart West, biologi dell’Università di Edimburgo, in Scozia. Come hanno spiegato sulle pagine di ”Nature”, i due ricercatori hanno ”messo alla prova” 77 diverse specie ermafrodite, pesci, crostacei, molluschi, echinodermi e hanno scoperto che nel 97% dei casi il cambiamento di sesso era scattato allo scoccare del ”peso forma”. E il restante 3%, direte voi? Ci sarà lo zampino del pesce pagliaccio! Marina Bidetti