Simona Lambertini, Macchina del Tempo, giugno 2004 (n.6), 29 maggio 2004
I mammut sono tornati e hanno preso casa a Parigi. Un nuovo episodio di ”Jurassic Park”? Niente di così fantascientifico: al Museo di Storia naturale della capitale francese si è aperta da poco la mostra dal titolo ”Al tempo dei mammut”, la più completa esposizione mai realizzata su tutto ciò che riguarda questi antichi pachidermi (la mostra è aperta fino al 10 gennaio 2005
I mammut sono tornati e hanno preso casa a Parigi. Un nuovo episodio di ”Jurassic Park”? Niente di così fantascientifico: al Museo di Storia naturale della capitale francese si è aperta da poco la mostra dal titolo ”Al tempo dei mammut”, la più completa esposizione mai realizzata su tutto ciò che riguarda questi antichi pachidermi (la mostra è aperta fino al 10 gennaio 2005. Orario: tutti giorni 10-18. Sito: www.mnhn.fr). Sono sette gli scheletri di mammut che vi sono esposti, di cui sei provenienti dal Museo di Paleontologia di Mosca, quasi tutti mammut lanosi ritrovati nei ghiacci millenari della Siberia. Il Mammuthus lanosus o primigenius, è la specie di mammut che sopravvisse più a lungo, probabilmente fino a circa 4.000 anni fa, quando sulla Terra aveva già fatto la sua comparsa l’uomo, prima come Neandertal (da 300mila a 100mila anni fa) poi come Cro-Magnon (apparso 35 mila anni fa). Proprio gli abitanti di quel periodo storico, il Pleistocene, ci hanno lasciato testimonianza di come dovevano essere questi animali: sulle pareti della grotta di Rouffignac, in Dordogna, ci sono 158 raffigurazioni di questi antenati dei moderni pachidermi: enormi, pelosi e dalle lunghe zanne d’avorio. Si nutrivano della loro carne, con le loro ossa gigantesche costruivano capanne, con l’avorio costruivano suppellettili di vario uso e stupende statuette raffiguranti corpi femminili. Molti di questi oggetti sono esposti alla mostra parigina, così come sono rappresentate alcune delle più belle raffigurazioni di Rouffignac. Ma le curiosità della mostra non finiscono qui: la fantasia e la curiosità che questi animali preistorici sono in grado di stimolare verranno sicuramente soddisfatte dalle numerose informazioni che l’esposizione fornisce sulle loro caratteristiche, abitudini e sull’estinzione. Si scopre così che i più antichi mammut vissero nelle savane africane con un aspetto simile a quello dell’elefante africano attuale, senza pelo e con orecchie enormi. Ma circa 2 milioni e mezzo di anni fa questi bestioni di qualche tonnellata di peso migrarono verso nord alla ricerca di nuovi e più verdi pascoli. Ecco allora che abbiamo ritrovamenti di reperti fossili in un territorio vastissimo, che va dall’Europa all’Asia, al Nord America. E qui, a causa delle continue glaciazioni che si sono susseguite nei millenni, cominciò la lenta trasformazione che li portò ad assumere l’aspetto che i paleontologi sono riusciti a ricostruire e che viene alimentato dalla nostra immaginazione: alti fino a tre metri, i mammut erano mastodonti che pesavano da 3 a 10 tonnellate, secondo le specie, ed erano dotati di maestose zanne d’avorio ricurve, lunghe fino a 5 metri. Vivevano in branco, si nutrivano di erbe e foglie (180 chili al giorno), dissetandosi con circa 80 litri d’acqua. Per sopportare le rigide temperature cui era esposto, il Mammuthus primigenius, abitante delle zone fredde dalla Siberia al Nord America, sviluppò un pelo folto, con setole lunghe un metro, e una sorta di corta lanugine a contatto con la pelle che faceva da isolante termico. Alla pelliccia si aggiunsero anche uno strato di grasso sottocutaneo dello spessore di 12 centimetri e una pelle molto spessa. Per disperdere meno calore possibile, nelle specie che si succedettero, le orecchie diventarono sempre più piccole, fino a 7 volte meno di quelle dell’elefante attuale. Queste caratteristiche li rendevano anche particolarmente difficili da cacciare: inattaccabili con le rudimentali armi di cui erano dotati, probabilmente i nostri antenati si accontentavano di raccogliere qualche carcassa di animali già morti o più astutamente preparavano per loro grandi trappole in cui farli cadere. Ma nonostante queste peculiarità li rendessero animali possenti, che poco avevano da temere dall’uomo e dall’attacco degli altri predatori, in poche migliaia di anni scomparvero dalla faccia della Terra estinguendosi. A questa parola si lega uno dei miti che devono essere sfatati: i mammut non sono i progenitori dei moderni elefanti ma piuttosto i loro cugini. I rami dell’albero genealogico dei proboscidati sono tre: Mammuthus, Elephas e Loxodonta che si evolsero rispettivamente in mammut, elefante asiatico ed elefante africano, questi ultimi due tuttora viventi. L’estinzione dei mammut si situa intorno a 10.000 anni fa anche se nel 1993 un gruppo di scienziati russi scoprì nell’isola di Wrangel i resti di un mammut morto circa 4.000 anni fa, probabilmente uno degli ultimi esemplari rimasti. Ma cosa provocò la loro scomparsa? Ancora non ci sono certezze in merito, ma la teoria più accreditata è che sia stato il cambiamento climatico avvenuto proprio 10.000 anni fa a decimarli. Sono morti per il caldo o per il freddo? Al centro della controversia c’è uno dei più noti mammut ritrovati in Siberia, quello scoperto sulle rive della Berezkova nel 1902, ancora con lo stomaco pieno di cibo non digerito e con in bocca resti di un ranuncolo non ancora del tutto masticato. Questo potrebbe far pensare che a quell’epoca la Siberia non era la sterminata steppa di ghiaccio che è ora ma una regione con un dolce clima dalle temperature miti, tanto da permettere la crescita della vegetazione ritrovata nel corpo del mammut della Berezkova, così come in altre carcasse ritrovate nella zona. Ma allora per quale motivo questo animale è morto così improvvisamente e poi si è congelato con tanta rapidità che per tutti gli anni a venire la sua carne si è mantenuta così fresca da poter servire da pasto ai cani da slitta che per primi l’hanno ritrovato 10.000 anni dopo? C’è chi risponde riproponendo l’ipotesi del cataclisma: un meteorite, uno sconvolgente terremoto, il repentino cambiamento dell’inclinazione dell’asse terrestre potrebbero aver provocato cambiamenti tali e in tal velocità da decretare in poco tempo la fine della florida Siberia e quindi anche dei mammut. L’ipotesi catastrofista non è tra le più accreditate, si preferisce pensare che a quell’epoca, all’inizio dell’Olocene, il clima dopo l’ultima glaciazione sia diventato sempre più mite, cosa che probabilmente ha provocato cambiamenti tali nell’ambiente naturale e nella catena alimentare di questi animali da determinarne lentamente la fine. La morte del pachiderma della Berezkova sarebbe avvenuta in maniera del tutto accidentale in una Siberia dal clima simile a quello attuale, freddo tranne che per un breve periodo dell’anno in cui spunta una timida vegetazione, quindi il suo corpo sarebbe stato inghiottito velocemente dal ghiaccio. E proprio il ghiaccio in cui sono vissuti ha permesso che riuscissimo a ritrovare questi maestosi animali così com’erano: nelle distese bianche di Alaska e Siberia sono stati ritrovati tanti esemplari in ottimo stato di conservazione. Tra quelli che fanno bella mostra di sé all’esposizione parigina, Dima, un baby mammut di sei mesi morto circa 44 mila anni fa e ritrovato nella Repubblica della Jacuzia nel 1977. Per averlo, il Museo di Parigi ha pagato all’Istituto nazionale di zoologia di San Pietroburgo un prezzo che non è stato divulgato. Non potrete invece vedere Yukagir, uno degli ultimi esemplari ritrovati in Siberia, i cui resti stanno ancora vendendo alla luce. Vale comunque la pena di raccontare la sua storia, perché conferma ancora una volta la passione dei francesi per i mammut. Yukagir era stato individuato nell’omonima regione fin dal novembre 2002 da un cacciatore di renne russo allertato dai suoi bambini, che avevano visto qualcosa di strano, somigliante a una zanna, emergere dalla sponda di un fiume. Una volta recuperata la testa, il cacciatore andò a venderla nel mercato di una città vicina. Della straordinaria vendita venne a conoscenza l’esploratore francese Bernard Buigues che ha convinto il governo del suo paese ad acquistare il fossile per 25.000 euro, e a organizzare la spedizione per il recupero dell’intero corpo. Finora è venuta alla luce una clavicola, una parte della colonna vertebrale, diverse costole e una zampa ricoperta di pelle e peli. Ma anche, fatto unico, stomaco e intestini. Per ora i suoi resti sono stati depositati in un museo locale, in attesa di essere trasportato in Francia, e di una prossima mostra... Simona Lambertini