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 2004  maggio 28 Venerdì calendario

Cefis Eugenio

• Cividale del Friuli 21 luglio 1921, Lugano (Svizzera) maggio 2004. «All’inizio degli anni Settanta è stato uno dei maggiori protagonisti (se non il maggiore) della finanza italiana, ma di lui non si ricorda, in quel periodo, una sola intervista o una sola apparizione pubblica di qualche rilievo. La sua biografia è semplice nella cronologia e complessa invece nei contenuti. Nasce a Cividale del Friuli nel 1921. Si laurea in economia alla Cattolica di Milano, va a fare l’Accademia militare di Modena e va a prestare servizio in un reggimento di Granatieri. Dopo l’8 settembre del ’43 va a comandare una brigata partigiana “Valtoce” della formazione “Fratelli di Dio”. Finita la guerra Enrico Mattei, che ha avuto l’incarico di chiudere l´Agip, lo chiama a lavorare con lui. L’Agip, come si sa, non viene chiusa e da essa nasce l’Eni, con Mattei presidente. Nel 1967, ormai morto Mattei (in un misterioso incidente aereo) e ormai chiusa la fase eroica dell’Eni (quella della guerra alle Sette Sorelle del petrolio), Cefis diventa presidente del gruppo. Da quella posizione ha l’intuizione che dominerà poi il resto della sua vita, e che sarà all’origine sia della sua fortuna e della sua successiva sfortuna. Intravede che sta per arrivare l’ora della chimica. Anzi, nel suo giro matura la convinzione che la chimica sia in assoluto l’affare del futuro, destinato a prendere nell’economia italiana il posto trainante che era stato dell’auto. Ma in Italia c’è già un protagonista forte nella chimica: si tratta della Montedison. E, intorno, ci sono altri: Rovelli con la Sir, Ursini con la Liquigas, ecc... Cefis fa i suoi conti e decide che il modo più semplice e più veloce di diventare a sua volta un protagonista nella chimica è quello di scalare la Montedison. La faccenda è complicata perché la Montedison è privata e l’Eni è pubblica. Ma Cefis non è uomo da fermarsi di fronte a questioni del genere. Insieme a Cuccia, allora padrone indiscusso di Mediobanca e gran protettore della Montedison, organizza la scalata alla Montedison, alla fine degli anni Sessanta. La faccenda solleva uno scandalo enorme, tanto per la sostanza quanto per i metodi usati. Ma Cefis la spunta, almeno in parte. Già allora, infatti, sta al centro di quella che poi verrà chiamata la razza padrona. Un mix, cioè, di affari e di politica. Una sorta di rete in cui ci sono i politici che proteggono Cefis e che da lui sono protetti (e aiutati, con la forza del potere economico). Cefis, mentre punta alla chimica, non trascura di controllare e di condizionare l’informazione, come mantiene buoni rapporti con i servizi segreti. Nasce in quel periodo uno degli episodi più clamorosi (e pesanti) di inquinamento della politica e della vita pubblica in Italia. Dopo la sua scalata alla Montedison infuria la lunghissima stagione delle guerre chimiche: tutti sono convinti che lì ci siano i soldi del futuro (e il potere) e tutti vogliono una fetta della chimica. Di fatto, Cefis dalla poltrona di presidente dell’Eni non riesce a governare la Montedison. Oltre a tutti i problemi economici e politici c’è di mezzo anche un mostruoso conflitto di interessi. Il gotha dell’industria privata (Agnelli e Pirelli) protesta per l’assalto alla Montedison, roccaforte dell’industria privata. Alla fine si arriva a un compromesso per cui si stabilisce che la Montedison (metà pubblica e metà privata) sarà la linea di confine: da quel momento in avanti, dicono i privati, non saranno più tollerate invasioni di campo. Ma le cose, tenute insieme da un po’ di diplomazia e anche da maniere brusche, non funzionano. Nel 1973 Cefis getta la maschera e fa il suo passo più ardito: lascia l’Eni e passa alla testa della Montedison. Ovviamente, appena sbarcato nella nuova carica comincia a contestare l’Eni, di cui non tollera più la presenza, nonostante lui stesso abbia fatto, con la scalata, dell’Eni il maggior azionista della Montedison. A molti, allora, il passo di Cefis apparve inspiegabile. Invece era il trionfo della filosofia della razza padrona. Cefis lasciava l’Eni, che bene o male era sempre un ente pubblico (soggetto a controlli pubblici, ai ministeri e al Parlamento), e si trasferiva in Montedison, società di diritto privato, con il progetto di diventare l’esclusivo padrone della chimica italiana, senza più padroni. Insomma, arrivato in alto grazie alla politica, alla fine volle sganciarsi della politica per diventare semmai padrone della politica. Piano ambizioso e forse anche un po’ cervellotico, ma tipico di Cefis e del suo entourage. A quei tempi erano tutti convinti che la chimica si sarebbe trasformata in una miniera d’oro zecchino. Ma non fu mai così. La Montedison, nonostante tagli e ritagli, aiuti e mille sostegni, non è mai riuscita a produrre soldi. Anzi, ne ha sempre persi in abbondanza. La fine di Cefis, e con lui della razza padrona, fu istantanea, forse dieci secondi in tutto. Cefis, si racconta, nel 1977 va da Cuccia in Mediobanca per sottoporre al suo protettore una questione non nuova: la società ha bisogno di soldi, bisogna fare un altro aumento di capitale. Cuccia, che fino a allora aveva aiutato generosamente la Montedison (da lui stesso inventata peraltro a metà degli anni Sessanta), ha intanto maturato la convinzione che la partita è persa e che lo stesso Cefis è un perdente. E quindi gli risponde semplicemente con un monosillabo: “No”. Cefis, ex ufficiale dell’Accademia di Modena, non è uno che si fa dire due volte le cose. Capisce che la partita è chiusa, la grande avventura è arrivata alla sua ultima pagina. Si dimette dalla Montedison, si ritira a Lugano, e per la finanza italiana è come se fosse morto allora. Nessuno sentirà mai più parlare di lui» (Giuseppe Turani, “la Repubblica” 28/5/2004).