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 2004  maggio 27 Giovedì calendario

Riva Valerio

• Milano 1929, Milano 26 maggio 2004. Giornalista. «Un giornalista che era insieme molte cose: dirigente editoriale, critico letterario, polemista, militante liberale. Ma la sua autentica dimensione era proprio quella dell’intellettuale impegnato, come si diceva ai tempi di Sartre. Solo che il suo engagement non era ideologico, bensì rispondeva a una funzione: quella dell’uomo di cultura che si sforza di corrodere e contestare le certezze ideologiche, da qualunque parte provengano. Un’anima libera, ai limiti della provocazione e al prezzo del sacrificio personale. [...] Giornalista all’’Avanti!”, critico teatrale, poi membro di una cooperativa per la diffusione del libro popolare, quindi tra i fondatori della casa editrice Feltrinelli. Già, agli inizi, quando la sede è in via Fatebenefratelli, e poi in via Andegari, Valerio Riva è se stesso: appassionato e collerico, trascinatore, intollerante ed entusiasta, dotato di antenne sensibilissime che gli consentono di fiutare dietro alla raffinatezza letteraria il caso, la notizia, il colpo editoriale. Per lui la cultura non è rito, ornamento, snobismo, ma carne e sangue, anche scandalo se necessario, qualcosa da sbattere in faccia al pubblico, un mezzo per scuotere. circondato da militanti del Pci ossequiosi dell’Unione Sovietica? E lui non esita a mettere a segno un colpo storico: la prima pubblicazione in Occidente del capolavoro di Pasternak, Dottor Zivago. La critica ufficiale snobba la letteratura sudamericana, provincia sperduta e arretrata dell’industria editoriale? E lui inventa García Márquez, salvo poi distruggerne il mito politico quando ”Gabo” si mette a incensare dittatori e dittatorelli comunisti. La sinistra proto- maoista si prostra davanti a Fidel Castro, facendone un santo della liberazione sociale? E lui non esita a fargli visita offrendogli denaro, pur di avere le sue Confessioni da pubblicare in Italia. Per un paio d’anni così, avanti e indietro, registrando e trascrivendo quel che Fidel gli racconta, finché si accorge che il dittatore sta giocando con lui, parla del passato e gli nasconde le bassezze del presente: e allora basta, l’affare non si fa più. Giangiacomo Feltrinelli, il boss, decide di passare dalla fiction alla realtà, stringendo un’alleanza con i guerriglieri veri? E lui rompe nel bel mezzo del mitico sessantotto, sbatte la porta in faccia a quella che sembra la storia dei vincitori in marcia, passa nell’ombra, in un’altra Casa editrice. Ma il destino di intellettuale scomodo e provocatore lo insegue: dirige la cultura all’’Espresso” finché anche lì l’aria per lui si fa pesante, passa all’’Europeo” come vicedirettore e poi alla Rizzoli Libri perché il suo caratteraccio piace ad Angelo. Più passano gli anni, più il suo ritmo si fa vorticoso: lavora con Franco Maria Ricci, poi in America con Cecchi Gori, scrive l’Oro da Mosca, un saggio monumentale che documenta i finanziamenti sovietici ai partiti comunisti di tutto il mondo, dirige per pochi numeri il foglio di battaglia liberale Samizdat, approda al consiglio d’amministrazione della Biennale e non manca di scontrarsi duramente con il ministro Urbani. Vorrebbe andarsene, forse, ma invece lo riconfermano: quasi che implicitamente persino i politici riconoscessero, dietro al suo vorticoso cambiare posto e ribellarsi all’autorità, una granitica coerenza personale. Perché a tutti risulta chiaro proprio questo: anche quando rompe con la cultura di sinistra alla quale si è nutrito, lo fa non da ”ex” ma da accusatore. Stalin che ha tradito i russi, come Fidel i cubani, come il Pci le tante brave persone che in buona fede hanno creduto a Togliatti e Berlinguer. Tutto qui: se anche dall’altra parte i liberali tradiscono, Valerio Riva è prontissimo a metterli alla berlina. ”Attenti al cavallo pazzo”, si passano presto la voce amici e avversari, ”basta un niente a farlo imbizzarrire”. Infatti, spesso succede: ma è raro che gli oppongano argomenti concreti. Alla fine, nonostante i suoi articoli veementi sul ”Giornale”, Riva sembra entrare nell’olimpo dei senatori: lo invitano dovunque ci sia da condannare qualche genocidio, dittatura, repressione, eccetera» (Dario Fertilio, ”Corriere della Sera” 27/5/2004).