26 maggio 2004
Tags : Renzo. Nostini
Nostini Renzo
• Nato a Roma il 27 maggio 1914, morto a Roma il primo ottobre 2005. Schermidore. «Vinse nella sua carriera sportiva sette titoli mondiali tra il ’37 ed il ’55 e quattro medaglie d’argento alle Olimpiadi (fioretto e sciabola a squadre, ’48 e ’52). In realtà Nostini comincio la sua attività agonistica con il nuoto, nella società Lazio che poi ne ha fatto il suo ”presidente”. Il giovane Nostini si fece apprezzare sia come nuotatore che come pallanuotista. Si dedicò anche al rugby, mostrando un amore ed una passione per tutti gli sport, tanto che praticò successivamente, per molti anni, il pentathlon. E chissà, a Berlino ’36 avrebbe potuto ben figurare, non fosse stato escluso, unico civile tra gli atleti militari. Smaltita la delusione Nostini si concentrò sulla scherma, disciplina che lo ha visto assoluto protagonista anche come dirigente: fu presidente della federazione per 33 anni, dal 1961 al 1993. [...] una vera colonna dello sport italiano del ’900 e uno dei grandi uomini del Coni: membro della Giunta esecutiva nel 1965, nel ’67 fu eletto vicepresidente e, nel 1994, presidente onorario. Personaggio spesso controcorrente, di lui si ricorda anche lo scontro, durissimo, con Giulio Onesti. [...]» (’la Repubblica” 3/10/2005). «Molti non sanno niente di lui, molti di quelli che sanno gli sono stati avversari, prima in pedana poi nella vita dirigenziale della scherma e del Coni, lo hanno patito: ma tutti quelli che lo hanno conosciuto [...] devono convenire, sulla base di ricordi personali e di notizie biografiche, che si è trattato di un grande, di un uomo sincero ed onesto sino all’arroganza, quando non riteneva l’avversario (in pedana come nella vita dirigenziale, ripetiamo) degno di battersi con lui. Oggi uno come lui da atleta si beccherebbe continue squalifiche perché collerico, spavaldo, insofferente di ogni concetto appena appena ipocrita di disciplina, come dirigente morirebbe prima di nascere, per la sua assoluta allergia alla diplomazia. Nostini schermitore, specialmente fiorettista, era di quelli che tuonavano regolarmente contro i giurati, di quelli che non ovviamente rubavano mai un favore e ovviamente si dicevano spesso derubati da favori concessi agli altri. Insomma uno di quelli ”rovinati” dall’elettrificazione dell’arma, che ha ridotto il grande teatro della scherma ad un gioco di luci. Nostini, che pure a dedicarsi tutto alle pedane (dove ha gareggiato sino ai 45 anni) si è deciso dopo essere intanto stato anche nuotatore primatista nazionale di staffetta per la Lazio, rugbysta per la Roma e pentatleta per l’Italia azzurra, ed intanto essersi laureato in ingegneria mandando avanti una bella carriera di costruttore, Nostini è stato un grande campione, ha vinto tantissimo e questo nonostante che la guerra (fatta da artigliere) e - lo urlò sempre - le congiure e le sfortune gli abbiano tolto molto, in anni e in vittorie. Da dirigente è stato catapultato alla guida della scherma, triumviro con Edoardo Mangiarotti spadista e Gastone Darè sciabolatore, quando Onesti presidente del Coni tolse nel 1959 la federazione in crisi a Bertolaia: precettato accettò, ma disse che era un atto irregolare, e criticò sempre Onesti anche per quello, in una lunga battaglia di vertice condotta anche quando lui Nostini del Coni era (1967-1973) vicepresidente, più feddayn che collaboratore visto che voleva diventare presidente. Intanto era diventato, dal 1961, il capo massimo della federscherma, in carica per 34 anni, un record. Faceva pure il consigliere comunale missino di Roma, era ingegnere sempre, giocava a essere padre o padrone o patrigno degli atleti, sapeva essere nostalgico e moderno. Grande personaggio e secondo parametri antiqui anche grande uomo. riuscito ad andare d’accordo con pochi, ma a nessuno ha offerto un’amicizia finta: con Mangiarotti [...] ha scambiato la prima forte stretta di mano soltanto quando è venuta l’ora di lavorare insieme alla federazione commissariata. Ha obbedito al generale Vaccaro, segretario del Coni, che gli aveva imposto nell’imminenza dei Giochi di Berlino 1936 di rinunciare al fioretto e darsi al pentathlon, e non ha infilzato il generale stesso neppure quando, all’ultimo, gli ha preferito per le gare olimpiche un ufficiale di carriera. Ha vinto nella scherma un oro individuale di fioretto, a 34 anni, e quattro a squadre. Poi anche cinque argenti tutti a squadre (tre nella sciabola) e un bronzo (sciabola individuale). Alle Olimpiadi quattro argenti, sempre a squadre, nel 1948 e nel 1952, due di fioretto e due di sciabola. Ha dato vita a duelli furenti con il francese D’Oriola. In pedana ha dato vita anche a solenni liti con il fratello Giuliano, che pure lo aveva portato alla scherma da bambino, a sei anni.. Da presidente ha vinto con i suoi azzurri tante medaglie, pur avendo subito e/o creato quadriennii anche turbolenti. Nel 1994 lo hanno eletto presidente onorario del Coni: un modo di esaltare la sua vita calda e calmare i suoi momenti bollenti. Non c’era più Onesti ma si deve dire che anche con un altro presidente del Coni, Gattai, Nostini ha idealmente incrociato le armi. [...]» (Gian Paolo Ormezzano, ”La Stampa” 3/10/2005). «[...] fu tra i fondatori della Fisu per lo sport universitario mondiale e presidente del Cusi in Italia, presidente della Lazio Nuoto e del Rugby Roma, in posizione ideale per assumere incarichi di vertice. L’occasione si presentò nel 1959, alla vigilia dell’Olimpiade romana, mentre la scherma viveva il momento più buio della sua storia. Il Coni sostituì il presidente Bertolaia con un triumvirato formato da tre grandi del passato: Renzo Nostini, Gastone Darè e Edoardo Mangiarotti (il quale a 40 anni era ancora in pedana, e a Roma vinse l’ultima medaglia della carriera). Nostini e Mangiarotti tornarono a salutarsi di nuovo, dopo anni di astinenza, e posero le basi per la ripresa che si verificò ai Giochi. A dicembre Nostini fu eletto presidente federale, evento che si sarebbe ripetuto per altre otto volte. Era considerato personaggio autorevole, ma un po’ scomodo, e fu promotore di un paziente lavoro di ricostruzione (rappresentanza federale alle società anziché a singoli individui; creazione del GP Giovanissimi e di centri federali a Milano e Roma, poi a Napoli; razionale utilizzo dei migliori maestri in attività; creazione del gruppo organizzato dei presidenti di giuria). E a capo degli azzurri arrivò Attilio Fini, a volte criticato per qualche intemperanza, ma per 30 anni condottiero d’una squadra che divenne una delle più forti al mondo. La conduzione del presidente era illuminata, ma personalizzata: ”Il suo carisma è tale, il dominio che esercita su tutto l’ambiente tanto assoluto, che nessuno dei suoi sudditi accenna nemmeno ad alzare la testa”, disse qualcuno. E lui non si adontò per nulla, anzi. Del resto, amava mettere in evidenza questa sua caratteristica: con il suo passato di atleta e le sue conoscenze tecniche (compose anche un manuale sul fioretto), il foulard di seta al collo, l’atteggiamento di staccata cortesia, dirigeva personalmente le assemblee federali, guidando le discussioni a suo piacimento. Veniva definito ”il grande padre” o ”il grande saggio dello sport italiano”, o anche ”un gentiluomo di cappa e spada”, e solo dall’esterno gli indirizzavano critiche a riguardo del paternalismo e del nepotismo della sua conduzione, si denunciava che continuasse a fare il bello e il cattivo tempo, e una volta un Cannavò particolarmente sdegnato arrivò ad accusarlo di essere un califfo, un ”campione dell’arroganza dirigenziale”. Ci voleva altro per farlo scendere dal suo empireo. Era amato dai suoi campioni, ai cui ori usava aggiungere premi speciali, di norma orologi di pregio. Però escludeva piccole cortesie che giudicava inadatte al suo rango, come a Los Angeles durante l’Olimpiade 1984. Le gare di scherma si svolgevano a Long Beach, che lui raggiungeva partendo dal suo hotel, nel cui atrio una rivendita di giornali aveva anche la Gazzetta dello Sport, teletrasmessa in California. ”Potrebbe portarne una copia agli azzurri, c’è una pagina su di loro, ne sarebbero felici”, gli fu suggerito. Allora fu lui a sdegnarsi: lo ritenevano un fattorino? Signore assoluto della scherma, privo di avversari in patria, andò a cercarne fuori, nell’ambiente del Coni, del quale fu vicepresidente dal 1967 al 1973. E qui dichiarò guerra al presidente Onesti, accusato di ”gestione dispotica e personale, ispirata dall’amore per il potere e non per lo sport e la democrazia”. Fu battuto perché quasi tutti i suoi alleati cambiarono campo all’ultimo momento, ma si rifece nel 1977, provocando una sentenza del Consiglio di Stato che dichiarò Onesti non rieleggibile. Era diventato il censore, la coscienza del movimento sportivo italiano, era vicepresidente vicario con Gattai, ma non perdeva occasione per prendere posizione su tutto, dissenziente in fatti che riguardavano la Federazione motonautica o opponendosi alla riconferma del presidente. Allora, era il 1993, crearono una carica su misura per lui: lo fecero presidente d’onore del Coni, forse per indurlo al silenzio. Una nomina che giunse al momento opportuno. Quando, dopo l’inizio della sua nona presidenza, la base della federscherma infine si ribellò. Sette dei suoi 11 consiglieri diedero le dimissioni, provocando la decadenza dell’intero Consiglio. Li dirigeva Di Blasi, che sarebbe stato il suo successore, e c’era anche il campione olimpico Mauro Numa, l’unico che Nostini non inserì fra ”quei disgraziati, poveracci, incompetenti, creatori della mafietta locale”. Però vinsero loro, e Nostini non seppe trovare una nuova dimensione in campo internazionale, dove aveva alcune cariche e godeva di molta considerazione. Non seguì i grandi avvenimenti [...] e lasciò un ambiente nel quale sarebbe potuto essere attivo per parecchi anni. [...]» (Aronne Anghileri, ”La Gazzetta dello Sport” 3/10/2005). «Ingegnere, presidente onorario del Coni, laziale nel cuore, a capo della federscherma per 34 stagioni, signore delle lame ma anche eccellente nuotatore, pallanotista e pentatleta, oltre che rugbista di valore in ossequio a una polivalenza irripetibile[...] Irruente, ruvido, battagliero, ma anche rigoroso e galantuomo[...] ”Sono conosciuto per la scherma, ma sono stato pure primatista nel nuoto, nelle staffette 5x50 e 5x100: ho ancora i diplomi che mi consegnò Mussolini [...] Sono stato uno degli schermidori più buggerati della storia. Al Mondiale del Cairo, nella finale del fioretto, mi rubarono tre stoccate: uscendo dalla sala, il presidente di giuria lo ammise. E all’Olimpiade di Londra, nella finale a squadre, sul 4-4 con i ’’moschettieri’’ francesi, l’assalto decisivo fu fermato. Dopo secondi interminabili, l’arbitro disse che avevo preso la stoccata: era un inglese, ma seppi che aveva studiato a Parigi...” [...] Quattro medaglie d’argento a squadre in due edizioni, 1948 e 1952: le manca la vittoria olimpica? ”Certo: mi pare di essere stato un atleta a metà. A Londra crollai anche perché avevo mangiato solo un uovo e una pera: quasi svenivo. Il medico non s’era curato della nostra alimentazione [...] Sala d’armi del maresciallo Fabrizi, cavalier Luigi: sì, era scritto proprio così, all’ingresso. Ebbene, Fabrizi mi fece mettere in guardia, mi fece assumere le posizioni fondamentali. A quel punto mi disse: ’Sei diventato uno schermidore e anche un gentiluomo’. Quando la racconto, rivivo la scena. E mi scappa da ridere. Rammento poi la sera in cui, dopo infinite sconfitte in allenamento, superai Giulio Gaudini, gigante di 2,02, un mio idolo. Gli dissi: ’Mo’ vado a dirlo alla radio’. Ma era una bufala. Dopo la Guerra, nove anni dopo, ci ritrovammo in via Condotti. Mi invitò a incrociare le lame nella sua sala: vinse lui. Mi disse: ’Mo’ vallo a dire alla radio...’[...] Creai la Fisu, che poi Nebiolo trasformò nel pianeta dell’Universiade, e al Mondiale universitario ’47, a Parigi, riuscii a impedire che gli atleti triestini sfilassero davanti alla bandiera della città anziché a quella italiana. Il mio segretario, vinta la battaglia, si mise a cantare Giovinezza: dovetti zittirlo”» (Flavio Vanetti, ”Corriere della Sera” 26/5/2004).