Varie, 24 maggio 2004
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Baselitz Georg
• (Georg Kern) Deutschbaselitz (Germania) 23 gennaio 1938. Pittore. «Il mondo diventa ogni giorno sempre più incomprensibile; è come se tutto fosse sottosopra, rovesciato, ribaltato. E, allora, occorre dipingerlo esattamente così. questo che, nel lontano 1969, deve avere pensato Georg Baselitz quando decide di capovolgere i suoi quadri. O forse, l’idea gli viene dopo avere letto qualcosa di Paul Celan (pseudonimo di Paul Antschel), poeta di lingua tedesca, di origine romena, che diceva: ”Chi cammina a testa in giù ha il cielo come abisso sotto di sé”. Fatto sta che, da allora, la figura capovolta è un po’ diventata il ”marchio di fabbrica” di Baselitz, il segno di un suo immediato riconoscimento. Certo, talvolta la lettura pone qualche difficoltà. La lettura dell’immagine, s’intende. Non quella dell’impasto dei colori, quasi sempre molto materico e abbastanza forte, quasi violento. Ma proprio a un dipinto capovolto si deve la scoperta, per Kandinsky, dell’arte astratta. Verità, leggenda? Non ha importanza. la suggestione che conta, in certi casi. Baselitz rovescia alberi e case, cani e aquile, uomini e donne (emarginati, ribelli, eroi), bambini e vasi di fiori: soggetti tutti dei suoi dipinti. Potrebbe sembrare un espediente come tanti per distinguersi dagli altri, ma l’artista tedesco non ne ha bisogno. La sua tavolozza neoespressionista è abbastanza forte per reggersi da sola. In realtà, egli ha solo voluto differenziare la pittura sic et simpliciter dalla raffigurazione. [...] Dalle Visioni, del 1959, ai Quadri spezzati del ”66, dalle betulle ai paesaggi, dai nudi ai tulipani, ai bevitori, alle querce, e così via. Una pittura emotiva, estremamente angosciosa e angosciante, cruda, con fortissime accentuazioni cromatiche. Ci sono i fauves e Munch, Kirchner (padre anche di tutti i transavanguardisti) e l’Art brut, Fautrier e Pollock. Baselitz ne esaspera la forza drammatica, ne amplifica la crudezza, la tensione, il pathos, la violenza. I personaggi delle sue sculture, invece, intagliati su legno (tecnica degli antichi intagliatori medievali?) e, spesso dipinti in parte, stanno ritti. Il rovescio del rovescio, insomma. Ma quel è stato il suo percorso, prima di abbandonare la tradizione e di staccarsi anche dai suoi contemporanei, rovesciando le figure? Baselitz (che, in realtà, si chiama Georg Kern) è nato in Sassonia (esattamente, a Deutschbaselitz: da cui, appunto, lo pseudonimo), dove apprende i primi rudimenti della pittura. I suoi vorrebbero che facesse il disegnatore di porcellane, ma egli preferisce studiare arte protostorica, letteratura e musica (fra i suoi primi ritratti, quelli dedicati a Wagner e Beethoven). A 18 anni si trasferisce a Berlino Est. Studia pittura, fa amicizia con Ralf Winkler (A. R. Penk), che tanta incidenza avrà su di lui, e vede i lavori degli espressionisti americani (Pollock, De Kooning, ecc.). Nel ”60-’61, il primo e secondo Pandämonium (’manifesto pandemonico”). Nel ”63 espone La grande notte nel secchio e L’uomo nudo, sequestrati per oscenità (gli verranno restituiti tre anni dopo, alla fine del processo). Nel ”65, una borsa di studio lo porta a Firenze dove studia il manierismo e dove, una decina d’anni dopo, apre uno studio, sino a quando, nell’81, lo trasferisce a Castiglion Fiorentino. Da allora, il ”nuovo selvaggio” si divide fra Germania e Italia. Come alcuni artisti tedeschi della sua generazione, anche Baselitz testimonia il disagio di vivere in un Paese diviso in due, dove ancora rovine e macerie sono lì a testimoniare un recente passato disastroso. Ecco perché la sua tavolozza esprime tinte fortemente drammatiche e i suoi eroi sono tali solo perché decidono di sopravvivere, anche se ciò comporta un’esistenza da derelitti. Da qui, una sorta di crepuscolo degli dei, che richiama l’ultima giornata della tetralogia dell’amato Wagner, dove passato e avvenire si tingono di rosso-sangue, di bianco, di verde-scuro e di nero. Il nero della notte» (Sebastiano Grasso, ”Corriere della Sera” 24/5/2004). «[...] Baselitz assume il rovescio della pittura come processo creativo, in cui la costruzione dell’immagine non approfitta delle tradizionali dimensioni dell’alto e basso e della legge gravitazionale; il piede è attratto dalla parte alta del quadro mentre la testa esercita la sua capacità di pensare ed inoltre di fondare la base fisica del linguaggio che sembra mostrare le categorie dell’impulso espressionista fuori da ogni decisione progettata. In tal modo l’immagine antropomorfica o di paesaggio oltrepassa l’antipatica precisione della puntigliosità descrittiva con il battito di una manualità fuori da ogni ordine precostituito. Nel territorio della pittura esiste un rispetto per la natura e per l’uomo che al rispecchiare preferisce la necessità organica di uno sviluppo dominato da priorità interne. La forma evidenzia un universo iconograficamente differenziato. Il problema di Baselitz non è quello di rovesciare il dipinto ed il senso della pittura per potenziarne la contemplazione. L’arte non è una semplice attività oppositiva, una schematica attitudine di puro rovesciamento, opposizione al disorientamento con uno ulteriore. In questo senso, Baselitz smaschera il sistema infantile delle avanguardie di mimare il disordine delle cose con un puro disordine linguistico. Egli adotta il metodo classico di utilizzare in maniera fertile lo storico disorientamento esistenziale per fondare un orientamento specifico del linguaggio. Essere classici significa dimenticare il proprio disagio esistenziale per approdare alla serenità della forma. Questa ovviamente non è una condizione psicologica ma partecipe del procedimento formativo dell’opera. Infatti Baselitz si appropria di un linguaggio storico dell’espressionismo per adoperarne le interne economie e non l’inevitabile significato. Nuovo è il senso della pittura di Baselitz che rende attendibile il suo rovescio evidenziandone una posizione differente dal semplice risentimento verso la sua storia. Il problema non è più quello di mettere in piedi il mondo ma di situare la pittura sotto il segno di un nuovo ordine interno. In questo Baselitz è nostro contemporaneo, in quanto rifiuta il gioco della stramberia, l’originalità del puro capovolgimento trovando piuttosto nella storia stessa la necessità del suo fare. L’arte diventa la dimostrazione quasi matematica che esiste nella realtà un pensiero che la accoglie e da qui una sorta di serenità figurativa. Infatti l’immagine non fuoriesce dal suo tracciato, anzi realizza pienamente anche il paesaggio che la circonda. La natura e l’uomo sono incancellabili, adottati nel diritto della loro pienezza, capaci di resistere ad ogni rovescio. Qui non esiste allusione o incompletezza, possibilità esterna di completare il senso dell’opera. La libertà o la prigionia dell’immagine è interamente assicurata dal suo risultato formale. Pittura silenziosa quella di Baselitz che, senza infliggere all’immagine mutilazioni di sorta, ne sviluppa pienamente l’estensione fino al suo pieno compimento estetico. Il linguaggio della pittura non vuole denunciare il mondo ma costruire una rappresentazione in fondo senza alternative, in qualche modo imperativa, assecondata dal basso tono cromatico, che non concede nulla all’emotività delle sovrapposizioni e delle trasparenze. L’artista abita con tono deciso la sua pittura, e non le affida la possibilità di porsi come sospetto di altro da sé. Ovviamente, l’altro da sé è il mondo. Ma il mondo e la sua storia sono il deposito di una decisione creativa plausibile, quella che autorizza l’artista a rovesciare la pittura e nello stesso tempo a costringere le immagini ad abitare l’ordine di questo rovesciamento. Baselitz ha realizzato dagli anni Sessanta a oggi una razza di quadri che si fanno compagnia fra loro e attraverso di essa ribadiscono il diritto all’esistenza e alla propria diversità. Tale orientamento è rivolto al disorientamento interno all’arte oltre a quello esterno del mondo. Artista europeo, Baselitz assorbe nell’opera il pensiero negativo della sua cultura, accettandone il dettato e adattandolo alle condizioni del nostro tempo. Egli accetta il disagio come oggettiva condizione della storia e orienta le sue figure con una decisione iconografica che paradossalmente le stabilizza: le rende giustificate. Anche quando Baselitz sembra cambiare la sua decisione, ristabilendo un ordine corrispondente all’esterno di alto e di basso, l’immagine ricorda l’ordine di un capovolgimento realizzato altrove, in quanto l’etica del fare resiste all’estetica del vedere. Arte ed estetica, fare e vedere trovano una felice coincidenza, mai dettata dalla casualità bensì dall’intelligenza resa esplicita grazie all’opera. L’uso saturo del colore rende ancora più evidente il senso dell’immagine seppure costruita col linguaggio pulsionale dell’espressionismo. Pittura meditata, quella di Baselitz, mediata da una forma che tiene alta la temperatura del suo essere, infine, pensiero visivo. Seppure perturbato, il tragitto della pittura di Baselitz, una volta accettato l’iniziale disorientamento della storia, procede imperturbato verso l’approdo finale della forma. Se l’ironia è il frutto di un’oscillazione tra l’essere e l’apparire, qui abbiamo un ancoraggio evidentemente costruito. Diritto o rovescio, non possono cambiare di molto il risultato. Il genius loci di quest’immagine è stabilizzato dall’uso di un linguaggio appartenente alle attitudini dell’artista che lo controlla per familiarità. Alla fine, l’artista fonda un universo abitato da immagini che creano il sospetto di un’abitabilità più estesa. Il compito dell’arte diventa quello di estendersi e di estendere, concentrando tutte le proprie energie intorno al suo obiettivo, e Baselitz ha dilatato lo spazio della pittura facendone il punto fermo dell’immagine. L’arte è la necessità di confrontarsi con un punto fermo» (Achille Bonito Oliva, ”la Repubblica” 16/1/2005).