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 2004  maggio 19 Mercoledì calendario

GODARD Jean-Luc Parigi (Francia) 3 dicembre 1930. Regista • «Ha fatto la rivoluzione linguistica, scardinando la sintassi cinematografica con Fino all’ultimo respiro (1960)

GODARD Jean-Luc Parigi (Francia) 3 dicembre 1930. Regista • «Ha fatto la rivoluzione linguistica, scardinando la sintassi cinematografica con Fino all’ultimo respiro (1960). Non ha fatto, come forse avrebbe voluto, la rivoluzione sociale. Nasce ricco (padre medico, madre figlia di banchieri svizzeri), è mandato a Nyon per frequentare le superiori. Torna, si iscrive all’università (etnologia) ma non studia. Campa arrangiandosi dopo che il padre gli ha tagliato i fondi. Collabora ai Cahiers du Cinéma, passa giornate intere nei cinemini della Rive gauche con Rohmer, Rivette, Bazin, Chabrol, Truffaut, quelli che saranno la spina dorsale della nouvelle vague. In Svizzera per i funerali della madre si ferma a Ginevra, muratore in un cantiere di costruzione d’una diga, e ne approfitta per girare un documentario di 20’, Opération béton (1954). Con Fino all’ultimo respiro racconta la piccola storia di un minuscolo criminale, rende omaggio al cinema americano e - con l’uso della macchina a mano, le riprese casuali, gli ”attacchi” sbagliati, le ripetizioni ossessive, i salti imprevisti da un luogo all’altro, da un volto all’altro (o allo stesso, ma in un luogo diverso) - mette in crisi le certezze del cinema narrativo di marca (soprattutto) hollywodiana. Insisterà, sia nella direzione socio-politica [...] sia in quella antropologica [...] Lentamente emerge dal fondo della sua psicologia di calvinista una ”nostalgia” insospettata per le tematiche religiose. [...] Prosegue, con discorsi sempre più strampalati sul cinema che non gli concede udienza [...] sull’amore e sulla società capitalistica [...] e ogni volta gioca al risparmio [...] alla citazione cinefila, alle parole in libertà per dilatare i tempi di psudo racconti. Spiritello dissacrante (anche autodissacrante) [...]» (Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario del Cinema - Cento Grandi Registi, Newton&Compton 1995). «[...] ”Credetemi: bisogna fucilare Jean-Luc Godard”, ha scritto in ”Paris-Presse” Michel Aubriant. ”Bisogna seppellirlo sotto gli onori, sotto le sinecure. Bisogna affidargli una missione culturale in Costa Rica, nominarlo direttore a vita della Televisione di San Marino. Bisogna creare per lui una cattedra di godardismo al ’Collège de France’. Bisogna lanciarlo nello spazio siderale con a bordo le opere complete di Marx e di Céline. L’importante è impedirgli di nuocere, con tutti i mezzi... strappargli la macchina da presa dalle mani...”. [...] Per Godard s’è mosso anche Louis Aragon, questo Picasso mancato della poesia, che aprì il suo settimanale ”Les Lettres Françaises” con un titolo che sembrava uno squillo di tromba: ”Godard, un inno all’amore”. Da notare che Aragon non ha capito niente, tenuto conto che per il poeta l’amore è quello suo con la moglie Elsa, fac-simile d’una castellana trovadorica, quando invece l’amore di Godard è tutto arrovellato e sconsolatamente aggressivo. Basti dire che riferendosi al rapporto uomo-donna formulato nei film del regista, nel giro intellettuale hanno forgiato un neologismo, ”godardiser les filles”, cioè traumatizzare le smorfiose yé-yé con atti e parole sconvenienti allo scopo di restituirle alle loro presunte realtà e funzioni ancillari. Di questo ping pong d’insulti e di elogi smisurati, Godard forse soffre o ne ricava piacere. Forse, perché è difficile sentirlo esprimersi. un uomo taciturno, quasi muto. Tace e si barrica, da anni, dietro lenti affumicate, la bocca sigillata sulla sigaretta ”Boyard” di cui aspira tutto il fumo, assolutamente. Uomo schivo e disadorno. Abita qui e là. Ha un guardaroba composto da tre abiti e un impermeabile. Non è ricco. Non sapeva che bisognava pagare le tasse: così, essendo stato individuato dal fisco, deve pagare tutti gli arretrati. un monaco in eterna fase di autopunizione, poiché mangia dove capita e male, e dell’arredamento di una casa non glìene importa niente. Persona colta, egli non dispone d’una biblioteca. I libri li compra, li legge se son buoni, li getta se son cattivi. [...] sposato con Anne Wiazemsky, figlia della principessa Wiazemsky nata Mauriac, nipotina di François Mauriac e figlia del figlio di lui, Claude, sposato alla nipotina di Proust è un puro accidente. A Godard interessò solo lo stampo fisico e psichico [...] quel suo modo di essere mite e mai stupida, quella sua faccia da putto d’ascensione barocca. Il clan Mauriac (le belle maniere, i crocefissi, i vini Bordeaux delle grandi annate, il giro attorno al ”Figaro”), sembra [...] schivarlo con intransigenza. Per lui questa moglie è solo una gradevole soluzione privata, e con lei circola in posti modesti, la pizzeria di Bartolo o un bar mondanamente declassato come ”Les Petits Pavés” di Saint-Germain-des-Prés. E attorno a questa coppia, nessuna platea. Ci sono lo script, l’operatore, la fotografa di set, il giovane critico dei ”Cahiers du Cinéma”, qualche fortuito personaggio che non ha un nome di spicco. Non c’è regista che gli assomigli, nessuno che sia così cinomane. Il suo è un purismo che snerva o solletica l’entusiasmo. Non c’è un regista così angosciato. Ma il suo mutismo, la sua perenne introversione, risultano palesi. Palese la sua calma siderale, prodotta da tensione più che da appagamento, calma smentita d’un tratto e clamorosamente. Gli accadde di spaccare i mobili di casa, quando viveva con la prima moglie, e di manifestare un’insospettata elasticità di puma durante la lavorazione di ”Pierrot le fou”. Belmondo esitava a spiccare un salto pericoloso e Godard, snervato, lo fece al posto suo esclamando: ”Hop-là”. Ha un solo interesse, il cinema, e quel che della sua persona inesaudita il cinema traduce. Godard è un animale cinematografico. In tempi di realismo romanzato e di introspezione psicologica, s’è convinto che un film è tutt’altra cosa che una storia o uno scavo analitico del personaggio. Per lui un film è un film, tutto qui, una sequenza d’immagini, voci e rumori infilzati dal tempo della ripresa e poi della proiezione. arte dell’immediato praticata con collages visivi e sonori e con attori ridotti a presenza animale. a questi punti che letterati d’avanguardia, artisti pop e op, seguaci di Lacan, Barthes, Foucault e altri filosofi liquidatori dell’umanesimo positivista e dialettico esultano. In Godard trovano il loro operatore cinematografico. Scandalo e noia tetra invece nell’altro campo. Perché questo cinema? E qui bisognerebbe andarlo a chiedere a uno psicanalista. Il minimo che si possa dire è che queste pellicole di Godard riflettono la convinzione che il mondo è ostile a tutti i livelli. Questo mondo Godard tenta invano di esorcizzarlo con qualche fiacca, disperata esclamazione culturale, a volte fastidiosa, con una citazione di Novalis o di Lorca, alla rinfusa...» (Giancarlo Marmori, Cronache di verità, 1969, Immordino editore). «Salvo che al cinema, nella vita non sono un uomo molto coraggioso. [...] Il cinema mii ha fatto scoprire un altro mondo, che né la letteratura né la pittura potevano mostrare. Ho girato il mio primo film a 30 anni, l’anno zero della mia vita. Ho avuto la fortuna di conoscere i grandi cinema, che non nascono ovunque, hanno bisogno di forti identità nazionali. Come il grande cinema tedesco, quello russo, quello italiano e francese. Il Giappone no, lì c’è stato solo qualche autore, lo stesso per la Spagna. Truffaut diceva che il cinema inglese è una contraddizione in termini. Oggi il grande cinema non c’è più, globalizzazione e totalitarismo della tv l’hanno spazzato via [...] Non basta filmare per fare un film. come per i telefonini. La gente pensa di comunicare perché parla» (Giuseppina Manin, ”Corriere della Sera” 19/5/2004).