Varie, 18 maggio 2004
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Ponzo Paolo
• PONZO Paolo Cairo Montenotte (Savona) 11 marzo 1972. Calciatore. Dal 2002 al 2004 giocò in A col Modena: «Stipendio di 200 mila euro netti a stagione: “Circa 390 milioni delle vecchie lire” [...] un proletario del calcio italiano. Guadagna il triplo di un dirigente d’azienda e meno di un manager affermato. [...] fisicamente, sembra un incrocio tra Rui Barros e Gianfranco Zola. Ha l’altezza del primo e nemmeno un briciolo del talento del secondo. Ma lo sa, ed è dotato di sufficiente senso del pudore e dell’autocritica per ammetterlo. Pensa di valere i 200 mila euro netti all’anno che il Modena le corrisponde? “Mah, è difficile dirlo”. Si sforzi. “Per il valore medio della serie A italiana, penso di essere uno dei più scarsi ma anche dei meno pagati. Dal punto di vista tecnico, non reggo il confronto con i migliori. La mia forza sono la volontà e la corsa. Non salto un allenamento, mi impegno sempre. Sono un torello, non mi stanco mai”. Se questo calcio avesse delle regole, paradossalmente dovrebbero pagarlo per il chilometraggio totale, a fine anno. “So di essere un uomo incredibilmente fortunato”. È nato a Cairo Montenotte, il paese dove il 12 agosto 1987 Gigliola Guerinoni, la “mantide”, uccise con molti colpi alla testa il farmacista Cesare Brin. Lei si è sempre dichiarata innocente. Lui, all’epoca, aveva 15 anni e la zucca piena di sogni. Una carriera da onesto mestierante. Interregionale nel Vado, C2 nel Montevarchi, serie B nel Cesena, nel Ravenna, nella Reggiana e nel Savoia. Poi la meravigliosa scalata dell’Everest con il Modena di De Biasi: dalla C1 alla A in tre stagioni. Dal 2000 a oggi con i canarini ha giocato 110 partite (“Un’avventura indimenticabile, di quelle che capitano a pochi calciatori. Se ripenso alla vittoria del campionato di B nel 2002 mi vengono ancora i brividi”), segnando una rete: “Al Cittadella, un bel gol di testa”. Inseguiva il sogno della serie A dal 1988, l’ha realizzato nel 2002, a trent’anni: “Al momento giusto, con una famiglia alle spalle e una certa maturità di uomo addosso. Io capisco che i ragazzini di 16 anni, sradicati da casa da piccoli, quando giocano a San Siro o all’Olimpico perdano completamente la testa”. In quella di Ponzo circolano concetti di grande buonsenso. Paolo ha origini umili e non se ne vergogna. Il padre ha fatto l’operaio in una fabbrica di prodotti chimici a Cairo, la mamma faceva da tata a due cugine e arrotondava come colf. Ha una sorella più grande, laureata in Economia e Commercio. Paolo Ponzo è uno di quei rari giocatori di calcio che conosce il valore dei soldi. “Io guadagno in un mese i soldi che mio padre, poveretto, guadagnava in un anno”. Li ha investiti nel mattone, come la maggior parte dei risparmiatori italiani. “Con mia moglie stiamo costruendo la casa della nostra vita a Bardineto, dalle nostre parti, in provincia di Savona. Stiamo ristrutturando la vecchia abitazione dei nonni di mia moglie. Niente di faraonico, eh... Solo una casa grande e comoda, sulle mie montagne, dove tornerò a fine carriera per vivere tranquillo”. Si definisce “umile e deciso”. A Modena sta benissimo: “Mi riconoscono, mi fermano, mi salutano”. Dice che, se ha un merito, è quello di non essere cambiato: “Sono rimasto il ragazzino testardo di Cairo Montenotte, quello che scappava da scuola per andare a tirare quattro calci sul campetto spelacchiato del paese”. Quello ottimista per natura, che quando parlava di serie A (“Da grande farò il calciatore!”) si beccava uno scappellotto dal padre: “Pensa piuttosto a trovarti un lavoro, scansafatiche”. Se l’è trovato. È uno dei più belli del mondo: gli permette di tornare ragazzino ogni domenica portando a casa a fine mese uno stipendio di tutto rispetto. “Ogni tanto me lo ripeto da solo: Paolo, in nessun altro mestiere avresti guadagnato quanto giocando a pallone”» (Gaia Piccardi, “Corriere della Sera” 18/5/2004).