Varie, 17 maggio 2004
SPALLETTI
SPALLETTI Ettore Cappelle sul Tavo (Pescara) 26 gennaio 1940. Pittore. Scultore • «Raffaello e Vermeer come padri. Ma il luogo della vita di Ettore Spalletti non è una capitale bensì Spoltore, un paesino a una manciata di chilometri da Pescara: una casa piena di luce, lontana dal frastuono del mondo dell’arte, alla ricerca di un’armonia, di una continuità del ritmo che nasce attraverso la perfezione della forma e da un colore carico di sensazioni più mentali che reali. Non è una fuga e neppure una scelta. ”Sono rimasto dove sono nato”, dice Spalletti il cui mondo geometricamente lineare nelle installazioni e nelle sculture, lieve, sottile, a volte impalpabile nella pittura, nei monocromi, sta per trovare più di una pubblica rappresentazione: nella sua città, Pescara [...] ha realizzato un lavoro, una fontana per il Palazzo di Giustizia, dove sono intervenuti anche Enzo Cucchi e Pistoletto [...] ”Mi sono chiesto se c’era ancor oggi la possibilità di creare un lavoro pubblico, di mettere una cosa nel centro di una piazza, di offrire la cosa migliore rispetto a quel luogo. Non ho pensato neppure a un’opera d’arte. [...] Uso l’azzurro perché è un colore che in natura non esiste, è qualcosa che ci avvolge che ci sta continuamente attorno ma che non puoi toccare. Quando penso al rosato penso al colore dell´incarnato, che non ha mai una sua fissità, ma cambia in continuazione modificato da quelli che sono gli umori interni delle persone. E quando pensi a queste cose non puoi non rivedere il passato, non pensare a quel verde che usavano nel Trecento per rendere l’idea l’incarnato [...] Il mio lavoro è stato posto storicamente dentro dei valori. Mi sento un pittore figurativo anche se quello che mi interessa è dove riesce a portami il colore, dove riesce a portarmi la luce. Se ripensi a un altro verde, a quella punta di verde che è nel giallo di Van Gogh ti accorgi che ti porta in un luogo completamente diverso. Ma sempre dentro una simil immaginazione figurativa [...] Quando parlo del rosa dell’incarnato ovviamente penso più alla figura. Ma quando stendo il giallo o l’azzurro del cielo penso al paesaggio. Se la storia dell’arte ha una sua continuità, se i valori vengono costruiti su una progressione, non posso non dire che ci sono delle cose che mi colpiscono. Avverto questa storia straordinaria ma non puoi mai farla completamente tua, non puoi mai portarla con te. C’è sempre qualcosa che sfugge se guardi Raffaello. Non puoi mai farlo tuo. E ti sfugge quello che succede dietro le spalle delle figure di Caspar David Friedrich. Sono cose che penso io, che forse mi aiutano nel mio lavoro [...] Tutti i giorni vado nel mio studio e prima di aprirlo sento come una forma di imbarazzo. Mi domando cosa troverò anche se ne sono uscito solo sei ore prima. Quando entro tutte le volte provo un senso di meraviglia. Forse questo è un privilegio. E allora la pittura è questa: tu vuoi dare è qualcosa che cerchi. Il lavoro nasce in questo modo. Cerco di guardare il colore che stendo dieci, quindici volte fino a raggiungere un piccolo spessore. I tempi di essiccazione li ho in mente perché determineranno i momenti in cui andrò a scoprirlo attraverso l’abrasione della superficie. in questo momento che cambia completamente rispetto alla stesura. Ci vogliono almeno venti giorni e il lavoro appare solo alla fine perché l’abrasione che opero rompe i pigmenti, li ridistribuisce sulla superficie e ti danno l’intensità e la profondità del vero colore [...] Credo che trovare un bel quadro sia molto difficile. Ma credo anche che per un grande regista sia molto difficile trovare un bel copione per girare un bel film”» (Paolo Vagheggi, ”la Repubblica” 17/5/2004).