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 2004  maggio 15 Sabato calendario

 un luogo comune pensare che le principali vittime dell’infarto e delle malattie cardiovascolari siano gli uomini

 un luogo comune pensare che le principali vittime dell’infarto e delle malattie cardiovascolari siano gli uomini. Ma come tutti i luoghi comuni va sfatato: il 50 per cento delle morti femminili è da attribuire a infarti, ictus e malattie coronariche. Anzi, secondo un recente studio, la mortalità per eventi cardiovascolari è notevolmente diminuita negli uomini ma è aumentata nelle donne. «Se è vero che la diminuzione della mortalità maschile si deve agli interventi di prevenzione mirata effettuati negli ultimi anni» precisa Alberto Margonato, primario dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Raffaele di Milano, «è anche vero che queste stesse tecniche risultano insoddisfacenti nel fronteggiare diagnosi e trattamenti quando si tratta delle donne. A questo si aggiunge che, rispetto a una volta, è aumentato il numero di donne che hanno il vizio del fumo, fattore di rischio non da poco per le malattie cardiovascolari». Non basta: non solo le donne si ammalano tanto quanto gli uomini ma, continua Margonato, «quando succede, spesso la prognosi per loro è più grave così come meno efficaci risultano i successivi interventi di rivascolarizzazione come by-pass e angioplastica». Questo è dovuto a diversi fattori, tra cui quello ormonale: è noto che la donna in età fertile è protetta dalla maggior parte delle patologie mortali grazie all’azione degli ormoni. Sembra che l’effetto degli estrogeni sul sistema cardiovascolare femminile si esprima provocando un rallentamento dello sviluppo dell’arteriosclerosi. Questo vuol dire che mentre l’uomo vede crescere piano piano durante tutta la vita le sue placche coronariche in relazione a diversi fattori come la predisposizione genetica, il livello di colesterolo, la dieta o il fumo di sigaretta, la natura, che mira alla salvaguardia della specie, protegge la donna fino alla menopausa, dopo la quale, però, anche le sue placche cominciano a crescere e anche molto in fretta. Quindi, superati i 50 anni, un infarto cardiaco troverà nel maschio un cuore più preparato a resistere, mentre nella femmina la chiusura di una coronaria causerà un evento acuto dai risvolti il più delle volte drammatici. Queste ipotesi sono sostenute dalla pratica medica: «Le donne si ammalano più tardi rispetto all’uomo» prosegue il primario. «Se è vero che fino a 75 anni c’è una minor prevalenza di malattie cardiovascolari nel sesso femminile, è anche vero che dopo quest’età sono proprio le donne a essere più a rischio». L’età avanzata e il fatto che molto spesso le donne anziane soffrono di diabete e ipertensione fanno sì che l’infarto si presenti con un quadro d’esordio veramente più complicato rispetto a ciò che succede nel maschio. «Considerando che la durata della vita media si allunga, non si può non tener conto di queste differenze» commenta Margonato. Differenze che si esprimono già a livello dei sintomi: «Quelli della donna sono meno evidenti» prosegue. «L’infarto silente, cioè quello che avviene senza presentare sintomi, è molto più frequente nelle femmine che nei maschi». Anche il dolore toracico, che è la manifestazione clinica più frequente nei pazienti affetti da coronaropatie, non si presenta nello stesso modo nei due sessi. «Facendo una battuta si potrebbe dire che le donne sono più complicate degli uomini proprio in tutto...». A questo, però, si potrebbe legare un interessante studio compiuto negli Stati Uniti qualche anno fa, i cui risultati sono stati pubblicati sugli Archives of Internal Medicine, su come il dolore toracico è valutato dal cardiologo quando a raccontarlo è una donna. Gli autori dello studio hanno sottoposto a tre gruppi di cardiologi una paziente con dolore toracico; in realtà la paziente era un’attrice che si atteggiava a donna in carriera con il primo gruppo di cardiologi e a donna insicura e impacciata davanti al secondo gruppo; il terzo gruppo valutava la sintomatologia, invece, sulla base di documenti scritti, senza essere influenzato dalle caratteristiche della paziente. I risultati: le indicazioni ad approfondire il caso con esami più specifici sono risultate sensibilmente più elevate nel primo gruppo di cardiologi e nel terzo, chiara indicazione che lo stile con cui la donna si presentava era in grado di influenzare profondamente il giudizio del medico. Si può parlare di una sorta di discriminazione della donna cardiopatica? un termine un po’ forte: secondo alcuni studi di Maria Grazia Modena, una delle maggiori esperte in Italia sulla cardiologia ”al femminile”, forse è meglio parlare di ”penalizzazione” della donna in riferimento proprio al fatto che in essa le malattie cardiache hanno un esordio più subdolo e quindi sono più difficili da diagnosticare. Come si può intervenire allora? «I fattori di rischio sono simili nei due sessi» riprende Margonato «ma esistono differenze per quel che riguarda la percezione della malattia: la donna ha un concetto di malattia cardiovascolare diverso da quello dell’uomo, perché non è stata educata a considerarsi a rischio, quindi ha una scarsa sensibilità all’idea di prevenzione cardiovascolare». Ed è proprio sul fronte della prevenzione che si deve agire: la donna dev’essere consapevole che, soprattutto dopo la menopausa, il rischio di avere infarti, ictus o problemi coronarici la avvicina all’altro sesso e quindi, proprio come ha fatto l’uomo, deve imparare a mettere in atto le opportune difese per cercare di contrastarli. S.L.