Margherita Fronte, Macchina del Tempo, maggio 2004 (n.5), 15 maggio 2004
Fra i tumori femminili, quello della mammella è certamente il più temuto. Forse perché è il più diffuso (nell’arco della vita, colpisce una donna su dieci) o forse perché spesso si accanisce su una famiglia, lasciando una scia di dolore
Fra i tumori femminili, quello della mammella è certamente il più temuto. Forse perché è il più diffuso (nell’arco della vita, colpisce una donna su dieci) o forse perché spesso si accanisce su una famiglia, lasciando una scia di dolore. Eppure, questa malattia è oggi molto meno ”cattiva” di un tempo. Stando ai dati, ogni anno in Italia si ammalano circa 30.000 donne, ma otto su dieci guariscono. Un risultato che pone il nostro Paese fra i primi al mondo circa gli esiti di questa malattia, e che è stato raggiunto soprattutto grazie alla diagnosi precoce e alla prevenzione. Il tumore inizia con un nodulo, che può essere ”sentito” dalla donna con l’autopalpazione, oppure rivelato da esami specifici, come la mammografia o l’ecografia. importante che la malattia sia scoperta presto, perché all’inizio le possibilità di guarigione sono molto alte. Per questo, a partire dai 20 anni, le donne dovrebbero imparare come si fa l’autoesame (il medico di famiglia o il ginecologo possono dare le istruzioni giuste) mentre, poiché le possibilità di ammalarsi crescono con l’età, «la mammografia ogni 2 anni, unita a una visita di controllo, è consigliata a chi ha superato i 40 anni di età; dopo i 50 l’esame dovrebbe essere annuale, così come la visita» spiega Bernardo Bonanni, condirettore della Divisione di farmacoprevenzione dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Tuttavia, riprende il medico, «la valutazione va fatta caso per caso, e controlli più ravvicinati o in età più giovane possono essere consigliati in presenza di fattori di rischio come la familiarità, il fatto di essersi sviluppate in età molto giovane, o di essere andate in menopausa tardi». Per ridurre le probabilità di ammalarsi, è comunque possibile intervenire modificando stili di vita e comportamenti. «Nell’alimentazione, vanno evitati gli eccessi di zuccheri e grassi e l’abuso di alcolici» spiega Bonanni. «Inoltre, il fumo va messo al bando, mentre l’esercizio fisico regolare può prevenire la malattia». Un discorso a parte, invece, merita la terapia ormonale sostitutiva, che molte donne (in Italia si calcola che siano circa un milione) assumono per contrastare gli effetti della menopausa. Da un paio di anni a questa parte, la cura degli ormoni è infatti stata messa sotto accusa, perché sembra favorire il tumore della mammella. Secondo i dati del Million Women Study britannico, resi noti lo scorso agosto, dopo 10 anni di terapia il rischio di ammalarsi raddoppia in chi ha assunto sia ormoni estrogeni sia progestinici, e aumenta, seppur di poco, nelle donne che hanno assunto soltanto gli estrogeni. Tradotto in cifre, fra coloro che hanno preso entrambi gli ormoni per 10 anni la probabilità di ammalarsi passa dal 2 al 4 per cento nella fascia di età compresa fra i 50 e i 60 anni. E fra chi ha preso soltanto gli estrogeni si ammala il 2,5 per cento delle donne. Le cifre non devono allarmare. «Prima di iniziare la cura è necessario valutare la predisposizione di ogni donna alla malattia. Ma in generale, se la terapia ormonale dura meno di tre anni, il bilancio fra i rischi e i benefici è favorevole» dice Bonanni. Se la cura è iniziata già da molti anni, «si può discutere un programma di riduzione graduale dei farmaci, associando questo alla messa in campo di altri strumenti di prevenzione, come la somministrazione di farmaci come il tamoxifene». Un altro fattore di rischio importante per il tumore della mammella è dato dalla predisposizione genetica, e in particolare da alcune mutazioni sui geni Brca1 e Brca2. Diversi studi hanno infatti dimostrato che, quando in una famiglia il tumore si presenta con una certa frequenza, uno o entrambi questi geni possono risultare alterati. Esistono test per verificare se questi geni sono mutati. E tuttavia, secondo gli esperti, il test genetico è un esame molto critico: le mutazioni genetiche sono soltanto uno dei fattori che predispongono al tumore. E non è detto che una donna positiva al test in seguito si ammalerà sicuramente. Per questo, «il test viene consigliato solo se è molto probabile che i tumori occorsi in quella famiglia siano di natura ereditaria» spiega l’esperto. «In questa valutazione, oggi il medico può avvalersi di modelli biostatistici, messi a punto di recente».