la Repubblica, domenica 8 febbraio, 9 maggio 2004
Vige in queste istituzioni una vasta voga del degrado, del disagio, del disgusto tipicamente ”british”, cioè lurido e lugubre, sordido a pagamento
Vige in queste istituzioni una vasta voga del degrado, del disagio, del disgusto tipicamente ”british”, cioè lurido e lugubre, sordido a pagamento. Il gusto dei letti sfatti e delle cucine sporche, con piatti sozzi e tampax in disordine, che impongono devozioni in fila come pale d’altare, rotoli della Torah, muezzin da minareto. Così paiono far parte dell’allestimento anche gli zombi che contemplano con compunzione gli stronzi, nei ”water” demoetnoantropologici dove non è stata tirata l’acqua. E tutt’al più i cloni e le clone esclamano «cazzo!», con impar condicio per gli organi femminili. Mentre l’immancabile paraculetto di successo: «Ma la f*** si fa i c*** suoi!». Nella messa a norma degli animali e feti in formalina, dei lavandini intasati e dei collages con Gesù fra Hitler e Satana, mancano adesso le sorprese ”modaiole” di ieri: le mele rosse nella vetrina dei calzolai, le piume di pollo nella gioielleria, le foglie fresche sulle pellicce sintetiche, le gatte morte nella boutique dei cosmetici. Ritorna piuttosto la perversità dei carnefici coreografi che facevano correre gli amputati e ballare i paralitici, cantare i non udenti e dipingere i non vedenti. Parecchie provocazioni grottesche sull’arte del passato; mai la minima irriverenza su questa del presente. Vasi e olle tipo Deruta o Faenza, con su le barzellette, sms delle bambinacce che si dividono in troie e pure; e le troie son troie; e le pure, pure. Ma qui fuori, niente ”writers” né ”stilisti” né graffiti né spray: pare un altro mondo.