la Repubblica, venerdì 13 febbraio, 9 maggio 2004
la Repubblica, venerdì 13 febbraio Milano. Una cieca rincorsa dei banchieri «all’ingiusto profitto», perseguito in ogni modo, mettendo in atto un piano di due anni, scattato a fine 2000, per rianimare il gruppo Cirio «in agonia» e poter rientrare dei prestiti erogati al finanziere
la Repubblica, venerdì 13 febbraio Milano. Una cieca rincorsa dei banchieri «all’ingiusto profitto», perseguito in ogni modo, mettendo in atto un piano di due anni, scattato a fine 2000, per rianimare il gruppo Cirio «in agonia» e poter rientrare dei prestiti erogati al finanziere. L’impianto accusatorio della Procura di Monza, dove si indaga per truffa su 33 dirigenti o funzionari di 27 istituti, emerge con dettagli dirompenti dalla relazione della Guardia di Finanza di Seregno. Un centinaio di pagine a riepilogare un anno di indagini appena chiuse, che hanno coinvolto in prima fila Caboto (gruppo Intesa), Ubm (Unicredit), Abaxbank (Credem) e Mcc (Capitalia), ossia gli istituti che si davano il cambio alla guida dei consorzi di collocamento dei sette bond Cirio per 1.125 milioni di euro. Dietro a loro, in subordine, quasi tutta la concorrenza nazionale. Una manna creditizia, che secondo il documento portava a cercare «un ingiusto profitto» in quattro modi distinti, replicati a ogni nuovo bond: commissione di collocamento dello 0,5 per cento, sovrapprezzo di un 2-3 per cento alla vendita nelle prime fasi del lancio, commissioni al pubblico di un nuovo 2-3 per cento all’atto di vendita agli sportelli, anche se, per tutti, quel mare di obbligazioni era riservato agli «investitori istituzionali». L’intercettazione telefonica tra due banchieri coinvolti, del dicembre 2000, ben testimonia il clima euforico sui Cirio bond: «Lui aveva in mente un mandato sicuro, degli spread enormi e delle commissioni...». Tutto possibile perché «tutti sapevano che il mercato dei bond ”tirava”», quindi bastava buttare l’amo di un tasso di interesse tra il 6,6 e l’8 per cento per far abboccare gli sciocchi. Peccato che nello stesso periodo, «tutti gli istituti coinvolti sanno che Cirio si trova in agonia finanziaria». E proprio a quel punto scatta il primo bond, l’alfa di un piano destinato a tenere in vita il gruppo sfinito dalla campagna acquisizioni, e in parallelo «rientrare», col denaro raccolto sul mercato, dei suoi debiti. Il team del pm Walter Mapelli ha concluso, infatti, che solo 169 milioni dei 1.125 raccolti coi bond Cirio sono stati utilizzati per la gestione; meno dei 190 dirottati sulla Lazio; molto meno della fetta, circa metà, andata a ripianare l’esposizione bancaria. Solo al Sanpaolo sono tornati 79 milioni, 58 al gruppo Intesa, 53 a Capitalia, 18 all’Antonveneta, 12 a Bnl e così via. I fatti contestati alle banche consistono nell’avere, «con artifizi e raggiri», «organizzato e/o partecipato a consorzi di collocamento, carenti di adeguate garanzie e prospettive di rimborso, sul mercato degli eurobond in Lussemburgo, al fine di eludere l’obbligo di prospetto richiesto dalle leggi». Nell’avere «strutturato tali prestiti come formalmente riservati ad investitori istituzionali, consapevoli che in realtà sarebbero stati venduti ai risparmiatori privati». Nel permettere, «di rientrare dai propri affidamenti, con danno per le parti offese, acquirenti dei titoli». E i controlli? Un po’ erano elusi, un po’ anchilosati nelle more burocratiche. La «eurovestizione» consisteva nell’intestare le obbligazioni a scatole lussemburghesi, «esclusivamente per eludere l’obbligo di prospetto». Al posto del prospetto informativo, stava un libello in inglese, stampato in ben cinque copie, che quasi tutti gli interrogati sostengono di non avere mai visto. Si chiama Credit Opinion, e la sua «provata inattendibilità» è illustrata nelle carte da un altro brano telefonico, tra un intermediario e un analista dello stesso gruppo bancario: «Non farmi una Credit Opinion dove si dice non compratela», alludendo a un’obbligazione. Qui il conflitto, «da nessuno evidenziato» era triplo per gli intermediari, «al tempo stesso partecipanti al collocamento, venditori dei titoli e creditori in fase di rientro». A parte queste omissioni, non ha aiutato granché l’operato delle vigilanze. La Consob, che impugnò il bilancio Cirio 2002, avrebbe potuto agire prima: «Le partite oggetto di osservazione e contestazione erano presenti anche nel bilancio 2001 e 2000. Se nell’anno 2001 la Consob avesse operato corretta e tempestiva vigilanza su Cirio, sul mercato obbligazionario italiano avremmo avuto bond Cirio per un importo ben inferiore». Quanto alla Banca d’Italia, «sapeva che ogni emissione veniva collocata interamente nel territorio italiano», ma non fu capace neppure di trovare le diverse carte dei comitati fidi bancari, che dal 2000 in poi esortavano a togliere i fidi a Cragnotti. Colui al quale «si preferì dare credito, a fronte di progetti industriali difficilmente realizzabili e rassicurazioni su crediti da 500 milioni» verso se stesso. Andrea Greco