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 2004  maggio 09 Domenica calendario

Corriere della Sera, martedì 10 febbraio La vera storia del «buco» nel bilancio ereditato dal governo Berlusconi nel 2001, è che dopo anni di ricerche e furibonde polemiche, quel «buco» non è ancora chiaro se ci sia stato

Corriere della Sera, martedì 10 febbraio La vera storia del «buco» nel bilancio ereditato dal governo Berlusconi nel 2001, è che dopo anni di ricerche e furibonde polemiche, quel «buco» non è ancora chiaro se ci sia stato. Anzi, peggio. Che forse c’è ancora, nascosto nelle voci di un bilancio pubblico spaventosamente disordinato. Dove con un tratto di penna di un impiegato distratto, come forse è successo nel 2000, possono «sparire» 4 mila miliardi. Persi in uno scaffale, svaniti, chissà. Come «gli strumenti finanziari sottostanti rimborsi di prestiti per 2.100 miliardi» pagati dal Tesoro a fronte di titoli di cui non c’è traccia. O versamenti da 700 miliardi fatti due volte e conteggiati una sola. Anche questo è scritto nel rapporto riservato e nelle conclusioni sconsolanti che i tecnici della Banca d’Italia, dell’Istat e del ministero dell’Economia, hanno appena consegnato al governo. Il loro compito era soprattutto quello di spiegare le enormi differenze tra i dati del disavanzo pubblico che Bankitalia, ministero e Istat calcolavano ciascuno a modo proprio e che nel 2000 raggiunsero un livello macroscopico. Bankitalia calcolava il fabbisogno statale a 81.600 miliardi, la Ragioneria a 54.800 miliardi, mentre l’Istat certificò un indebitamento netto della pubblica amministrazione (che è poi l’unico dato che vale per Maastricht) di 31 mila miliardi. Fabbisogno e indebitamento non sono direttamente comparabili, dal primo che alimenta il debito al secondo che misura il deficit Ue si arriva detraendo una serie di poste contabili, ma mai erano stati così divergenti. Il primo, poi, aumentava, il secondo diminuiva. Se Bankitalia era preoccupatissima, la Ragioneria minimizzava e il governo, appena insediato, commissionò loro una verifica del bilancio pubblico. Poi in tivù il ministro dell’Economia espose le cifre, che in quell’incredibile discrepanza nascondevano il rischio del «buco». Il deficit del 2001, disse Giulio Tremonti, può arrivare a 90 mila miliardi, il doppio di quello previsto dal centrosinistra. «Spiegatemi come fa il fabbisogno a essere il doppio dell’indebitamento. Qui c’è qualcosa di prodigioso. Il fabbisogno è un dato certo, a meno che un Ragioniere caporale e non Generale non abbia sbagliato», ripeteva il governatore. C’è il rischio, ripeteva, che il fabbisogno si scarichi improvvisamente sul deficit, proiettando l’Italia fuori dall’euro. «E comunque - aggiungeva - è tutto nuovo debito». A gennaio del 2002 il governo nomina Antonio Fazio, il presidente dell’Istat e Tremonti nell’Alta Commissione per la verifica dei dati. E dopo due anni arriva il rapporto della sottocommissione tecnica. Desolante. Rifatti tutti i conti, controllate a mano le carte, si scopre che tre quarti della differenza dei dati tra Bankitalia e Istat, 30.600 miliardi, resta tale, cioè inspiegabile. Una parte dello scarto, dicono gli esperti, dipende da quei 16.400 miliardi di fabbisogno calcolati in più dalla Banca d’Italia rispetto alla Ragioneria. Rifatti i conti anche qui, la commissione scopre che 11.800 miliardi di questi erano «attribuibili» al settore pubblico. Cioè dovevano figurare nei dati del ministero, ma non c’erano. Le verifiche «hanno consentito di individuare con precisione le cause di circa il 65 per cento di questa discrepanza», cioè 7.700 miliardi. Si scoprono 5.100 miliardi di «errori materiali». Una segnalazione errata di una banca per 1.700 miliardi, pagamenti di 1.600 miliardi contabilizzati in modo sbagliato, 2.100 di prestiti a favore di enti esterni ma con rimborso a carico dello Stato non conteggiati. Il resto degli 11.800 miliardi non si sa proprio: «4.100 miliardi restano non spiegati» dicono gli esperti. Errori grossolani e misteri, dunque. Ma non è tutto. Mentre la commissione rifà i conti, Bankitalia, Istat e Ragioneria prendono atto degli errori e correggono i numeri. Poi l’Istat fa altre modifiche: la spesa sanitaria del 2000, per esempio, dopo due anni si scopre più alta di 3.300 miliardi. Il deficit versione Maastricht, pian piano, s’ingrossa. A marzo del 2001, l’Istat lo quantifica all’1,5 per cento del pil. Un anno dopo, fissato il deficit 2001 all’1,4 per cento, aggiorna quello del 2000 all’1,7 per cento, pochi mesi dopo all’1,8. La revisione impatta anche sul 2001: il rapporto deficit/pil, passa dall’1,4 per cento all’1,6, poi con il verdetto Eurostat sulle cartolarizzazioni, vola al 2,2 e infine al 2,6 per cento. Il deficit 2002 scivola dal 2,3 al 2,5 per cento, valore cui si presume resti stabile nel 2003. In tutti questi anni la differenza tra fabbisogno e indebitamento è continuata a crescere. Nel 2003 è salita a un punto di pil: al 3,5 per cento del pil il fabbisogno, al 2,5 per cento il deficit. Nel 2004 questo tornerà a scendere al 2,3 per cento nelle previsioni del governo, ma il fabbisogno crescerà ancora, arrivando al 3,7 per cento. Mario Sensini