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 2004  maggio 09 Domenica calendario

la Repubblica, giovedì 12 febbraio Königsberg. Benvenuti nella città di Kappa. ”K” come Königsberg, il nome baltico antico, profumato di velieri e mercanzie

la Repubblica, giovedì 12 febbraio Königsberg. Benvenuti nella città di Kappa. ”K” come Königsberg, il nome baltico antico, profumato di velieri e mercanzie. ”K” come Kaliningrad, il nome sovietico d’oggi, appiccicato nel 1945 per immortalare il signor Michail Kalinin che mai la visitò, uno che divenne presidente dell’Urss accampando il merito di aver lasciato morire la moglie in un gulag. ”K” come Krolewiec, la parola con cui i polacchi chiamano la città più chiusa d’Europa, capoluogo dell’unico pezzo di Russia staccato dalla Grande Madre. Un pianeta blindato, sigillato dal mondo, vasto come mezzo Belgio, che a maggio l’allargamento a Est dell’Unione Europea lascerà più isolato che ai tempi di Leonid Breznev. Ma ”K”, per i tedeschi che la popolarono, è anche Krieg, la guerra: la seconda guerra mondiale, che ha sterminato gli ebrei baltici e ridotto la città in macerie. ”K” è Kommunismus, il grande gelo che ha completato l’opera delle bombe alleate, deportato gli abitanti, militarizzato il territorio, spazzato via la memoria. ”K”, ancora, come Kokakola, il simbolo del capitale che oggi governa un’enclave dove tutto si compra e tutto si vende: donne, petrolio, testate nucleari. ”K”, infine, come Kant. Immanuel Kant, fondatore del pensiero moderno e quintessenza del rigore tedesco, che a Königsberg nacque, visse e morì due secoli fa. Torna in auge il signor Kappa in questo ventoso avamposto dell’ex Urss, pieno di sommergibili e contrabbandieri. Può risuscitare anche perché la sua memoria non è mai stata davvero bandita. Lenin non disprezzava il filosofo tedesco, e Stalin - conquistata la città - risparmiò la tomba dalla demolizione. Oggi l’ombra riemerge, diventa simbolo di Occidente, forse l’unico possibile in una città privata della sua storia. Oggi i neo-sposi di Kaliningrad depongono fiori sulla lastra di granito rosso che racchiude le spoglie del Grande Vecchio, sul retro di una cupa chiesa protestante in mattoni rossi. Kant non frequentava chiese, contemplava cieli stellati sopra di sé e imperativi morali dentro di sé (ebbe per questo problemi col bigotto re di Prussia), ma non fa nulla. Oggi c’è chi va a toccare la maschera mortuaria come un portafortuna, senza sapere che è solo la copia di una copia di quella autentica, conservata nell’università di Tartu in Estonia, ma poco importa. Allo stesso modo, pochi a Kaliningrad hanno letto un rigo della Ragion pura, ma nemmeno questo ha importanza. Kant è un pensiero immanente. Un’ombra che sorveglia dall’alto il destino terribile della sua città. Sulla neve, quel destino è visibile anche da lontano, nella luce bassa del Nord. è la doppia torre incompiuta del palazzo del Partito, un blocco di calcestruzzo che la sera si arrossa e che la guida Lonely Planet annovera tra gli edifici più orrendi del Pianeta. Quell’orrore non dice solo che quest’isola di terraferma, col suo milione di abitanti reclusi, resta - volente o nolente - legata all’ex baracca sovietica. Ricorda anche la desertificazione della storia tedesca, gli abitanti sterminati per rappresaglia dall’Armata Rossa, le deportazioni in Siberia, la città anseatica che non c’è più, i Cavalieri teutonici che la fondarono, i re di Prussia che la ebbero come capitale prima di Berlino. La popolazione russa di oggi ha gli incubi. Sconta l’insicurezza da sradicamento, piaghe come Aids, droga e prostituzione (tutte a livelli record), la memoria dell’allerta continua in tempi di Guerra Fredda, ora anche lo strangolamento per l’ingresso in Europa e nella Nato dei Paesi confinanti, Polonia e Lituania. Se poi moltiplichi il tutto per la schiacciante presenza militare russa (oltre centomila uomini attorno alla base navale di Baltijsk) che ieri ha reso la città ”off limits” e oggi rumina complessi di accerchiamento; se consideri anche il senso di abbandono che scatta quasi automaticamente nei popoli slavi quando si sentono circondati (vedi la Serbia nel ’91), allora capisci per quale motivo la città si aggrappi, come a un amuleto, alla memoria del suo figlio più famoso. Terra di nessuno, spazio rarefatto dell’immaginazione, fantastico non-luogo come Trieste e Odessa, città illusionistica e di intrighi paragonabile alla Vienna postbellica del Terzo uomo, scenografia ideale per un film di Humphrey Bogart. Forse per capire la città, i suoi contrabbandi miliardari e le sue miserie, il suo apparato militare e le sue psicosi depressive, serve davvero la filosofia di Kant, l’uomo che fornì senza saperlo le basi alla psichiatria moderna, sancendo la non contattabilità del reale con la storica distinzione fra ”das Ding fuer mich”e ”das Ding fuer sich”, la cosa come mi appare e la cosa in sé. «Chissà cosa direbbe il pensatore tedesco della Königsberg russificata di oggi?» nei circoli intellettuali della città ci si trastulla con domande come questa. La storia ci ricorda con ironia che, quando i russi sgominarono la Prussia e occuparono il porto fra il 1758 e il 1762, il professor K. non se la passò affatto male. L’uomo sulle cui passeggiate pomeridiane la città sincronizzava gli orologi, si rivelò dispensatore di arguzie da salotto, ottimo giocatore di biliardo, e grazie allo Zar di San Pietroburgo fece pure carriera accademica. In una ricerca lo storico Manfred Kuehn ricorda che Kant salutò con piacere l’aria nuova - slava - che aveva movimentato il piccolo mondo prussiano, troppo metodico e prevedibile, troppo ingrugnito dal pietismo protestante e troppo inquadrato da una dinastia di re-sergenti. Sulla stessa riva del mare, in fondo alla grandiosa duna di sabbia di Baltijsk - dove in solitudine Thopmas Mann scrisse molti suoi romanzi - c’è Danzica, la città di Schopenhauer. Anche Danzica fu stuprata dal secolo dei totalitarismi, ma quale diverso destino! A Danzica è cominciato il crollo del comunismo, con la rivolta di un sindacato - Solidarnosc - benedetto addirittura da un papa, polacco per giunta; nella città di Kant il comunismo sembra essersi ibernato, sigillato in un mausoleo. La Polonia entra nel club dei ricchi? Kaliningrad resta fuori dal mondo, con un regime di visti d’ingresso tra i più duri dell’intera Russia. Sul Baltico rinasce una nuova dimensione anseatica? Vilna, Riga e Tallinn fioriscono di investimenti stranieri? Solo nella città di Kappa il tempo si è fermato. Paolo Rumiz