Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  maggio 09 Domenica calendario

la Repubblica, lunedì 23 febbraio Si chiamava ancora Clay e non era ancora il campione del mondo. Quarant’anni fa, il 25 febbraio 1964 a Miami

la Repubblica, lunedì 23 febbraio Si chiamava ancora Clay e non era ancora il campione del mondo. Quarant’anni fa, il 25 febbraio 1964 a Miami. Incontro Liston-Clay, pesi massimi. Clay era solo un giovane pugile scapestrato, uno che i Beatles erano andati a trovare in palestra. E un cronista scrisse subito che lui era il quinto Beatles. Solo che lui era nero. Tre giorni prima del mondiale il promoter, Bill McDonald, chiese a Clay se era vero che si era convertito all’Islam. «Se è vero annullo il match e tu non avrai altre opportunità di diventare campione del mondo». Clay rispose: «La mia religione è più importante dell’incontro». «Allora il match viene cancellato. Fine della storia», tagliò corto McDonald. Clay andò a fare i bagagli. Fu Harold Conrad, l’addetto stampa, a protestare con McDonald: «Non puoi farlo». Si beccò una riposta chiara e sincera. «Posso. Miami è il profondo sud. Non posso organizzare un incontro con un tipo che ci considera diavoli bianchi e che ha Malcom X come capo del suo team». Fu raggiunto un compromesso: Malcom X si sarebbe allontanato dalla città per ritornarci la sera dell’incontro. Sonny Liston era il campione. Veniva da una famiglia di piantatori di cotone, in tutto 25 figli, non sapeva né leggere, né scrivere, ignorava la sua data di nascita, come l’uso delle posate. Aveva camminato scalzo per tutta l’infanzia. Era suscettibile: non voleva essere considerato un killer in guantoni, uno scagnozzo da gangster, un criminale ignorante. Era vulnerabile, lì. E lì Clay lo colpì. Andò all’aeroporto ad accoglierlo, non fu un benvenuto: «Brutto scimmione, puzzi, voglio darti un sacco di botte». Non solo, ma Clay si mise ad inseguirlo, a molestarlo ovunque. Con le parole: «Avanti bestione, fatti sotto». Liston cominciò a sentirsi umiliato. Lui era il campione del mondo. Chi era quel ragazzino di 22 anni che veniva sotto casa sua a deriderlo? Clay in realtà conosceva la forza di Liston, ne aveva paura, e si allenò per combattere 15 round. Liston, al contrario, si preparò per un veloce ko. Saltava la corda e picchiava i sacchi al ritmo di Night Train. Correva poco, usava sparring partner mediocri. Mangiava hot-dog, pop-corn e beveva birra. Avrebbe ucciso Clay, che bisogno c’era di allenarsi? Clay passò la vigilia con Malcom X, Liston con delle prostitute. Quando qualcuno del suo clan disse che Clay era da prendere sul serio, Liston rispose: «Non preoccupetavi: gli do un’occhiataccia a quel finocchio, basterà per metterlo fuori combattimento». 43 giornalisti su 46 diedero Liston vincente. Un altro scrisse: «Clay può battere Liston solo nella lettura del dizionario». Al peso Clay si comportò come un pazzo. Urlò, si agitò, tirò pugni a vuoto: «Vedrai che ti spacco in quattro. Sei brutto, sei un orso». Nessuno aveva mai visto una cosa del genere, pensarono che Clay fosse uno spaccone impaurito. Liston si convinse che era matto. Rocky Marciano commentò: «Clay dovrebbe farsi vistare da uno psichiatra». Invece era una farsa, Clay sapeva quello che faceva, tanto che ripeté lo show, perché la prima volta aveva sbagliato orario. Troppo presto, in sala non c’era nessuno. Buona, la seconda. Nello spogliatoio Clay e Malcom X pregarono assieme Allah, Liston aveva la calma del carnefice. Sul ring i due si guardarono: Clay restituì l’occhiata truce, ma dall’alto in basso e per la prima volta quella sera aprì bocca: «Adesso facciamo i conti, bastardo». Il primo round iniziò con Liston che inseguiva Clay, senza beccarlo mai. E finì con Clay che appioppò a Liston otto colpi consecutivi. Liston era infuriato e disorientato, nella seconda ripresa cercò di stringere l’avversario alle corde, Clay però galoppava all’indietro. Liston aveva un jab potente, ma riusciva a colpire solo l’aria. Clay gli aprì un ferita sullo zigomo. Nel terzo round Clay lo colpì ancora e di proposito sull’occhio. Liston grondava sangue ed era esausto. Come dice Angelo Dundee, allenatore di Clay: «Sono i pugni a vuoto quelli che ti stancano». Nel quarto round Clay se la prese comoda, saltellò. Ma non sapeva che il clan di Liston era ricorso a un trucco: frizionare i guantoni con una sostanza urticante. Verso la fine del round Clay, seduto sullo sgabello, aveva gli occhi che andavano a fuoco. «Non ci vedo più», urlò. Dundee con una spugna imbevuta d’acqua cercò di dargli sollievo. Il gruppo di musulmani neri, che stava in prima fila e diffidava dello staff bianco di Clay, gridò contro Dundee: « un complotto, sta cercando di accecarlo». Per calmarli l’allenatore fu costretto a prendere la spugna a e a strofinarsela sugli occhi. Cominciò il quinto ruond. Dundee disse a Clay: «Adesso buttati e corri». Liston attaccò Clay, con ganci allo stomaco e alle costole. Ma Clay gli si avvinghiò come un’edera. E così guadagnò tre minuti preziosi. A 60 secondi dalla fine del round la vista gli tornò limpida. Nella sesta ripresa Clay colpì l’avversario con altri otto colpi successivi. Liston era andato, gonfio e sanguinante. Quando suonò la campana tornò all’angolo e disse: «Basta». Bene, pensò il suo staff, ora si darà da fare. Ma lui sputò il paradenti. «Ho detto basta». Allora capirono: si era arreso. Ma perché? Non era mai andato al tappeto, nemmeno una volta. L’ultimo ad arrendersi così in un mondiale dei massimi era stato Willard nel 1919 contro Dempsey. Ma Willard aveva una mandibola rotta, le costole incrinate e due denti saltati. Liston insistette: basta. Doveva iniziare il settimo round. Clay capì subito, urlò: «Rimangiatevi le parole. Sono il re del mondo, non ho neanche un segno in faccia, perché sono il più grande». Liston uscì dallo spogliatoio in lacrime: «Perdere mi ha fatto lo stesso effetto di quando hanno sparato a Kennedy». C’era una festa in suo onore, ma Clay non ci andò. Preferì andare in un motel dove l’aspettava Malcom X e dove mangiò una grande coppa di gelato alla vaniglia. Fu l’ultimo suo incontro da Cassius Clay. Quello dove divenne Il Più Grande. Emanuela Audisio