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 2004  maggio 08 Sabato calendario

Amsterdam, anno 2010: Ruud è un broker che lavora alla Borsa della città olandese. Un po’ per lavoro ma anche per passione, è un ”divoratore” di informazione economico-finanziaria e anche quando va in vacanza non stacca la spina

Amsterdam, anno 2010: Ruud è un broker che lavora alla Borsa della città olandese. Un po’ per lavoro ma anche per passione, è un ”divoratore” di informazione economico-finanziaria e anche quando va in vacanza non stacca la spina. Per tenersi informato non naviga su Internet, non riceve messaggi sul telefonino né acquista un quotidiano. Già, e allora come fa? Semplice: legge sempre lo stesso giornale. O meglio, gli stessi fogli su cui, con il passare delle ore, le notizie vecchie si dissolvono e appaiono continui aggiornamenti. Non è una scena tratta dall’ultimo film di Steven Spielberg. Ma uno scenario più che realistico. Ruud, infatti, si sta servendo di una delle ultime tecnologie: la carta elettronica, e-paper come la chiamano negli Stati Uniti. Facendo un passo indietro nel tempo e tornando ai giorni nostri, sono molti gli studi e le ricerche in un campo dalle molteplici applicazioni: quello dell’elettronica organica, ovvero la possibilità di sostituire con materiali plastici i semiconduttori tipici dell’elettronica (per esempio il silicio) per abbassare i costi di produzione, creare nuovi strumenti (come nel caso della carta elettronica) ma anche per dare nuove caratteristiche (soprattutto flessibilità) agli apparecchi più tradizionali: tv, monitor per computer, display per cellulari e così via. Uno dei più recenti e importanti studi in questo campo risale a qualche mese fa. Lo scorso febbraio, nei laboratori di ricerca olandesi della Phi- lips, Gerwin Gelinck ha presentato il suo ultimo prototipo: uno schermo arrotolato costituito da una sottile pellicola di plastica. Il monitor misura 12 centimetri in diagonale, è costituito da 80 mila pixel e consente di visualizzare immagini in scala di grigi con un tempo di ”refresh”, ovvero l’intervallo necessario a cambiare immagine, di circa un secondo. Il che non è sicuramente sufficiente per la trasmissione di immagini in movimento ma in grado di permettere, come nel caso di Ruud, di aggiornare un giornale di plastica o, per esempio, i contenuti che appaiono sul display di un palmare. Il segreto dello schermo flessibile della Phi-lips si chiama ”electronic ink” (inchiostro elettronico). infatti proprio grazie a questa speciale tecnologia che le immagini compaiono sul foglio di plastica. L’electronic ink è composto da migliaia di capsule contenenti cariche positive (per il bianco) e cariche negative (per il nero) che vengono controllate da un campo elettrico per formare l’immagine desiderata. «I display» spiega Miriam Mobach di Philips Research «sono composti da una superficie posteriore dello spessore di 25 micron, che contiene l’elettronica polimerica che pilota il pixel, e da un piano anteriore riflettente da 200 micron sviluppato da E-Ink Corporation (spin-off del Massachusetts Institute of Technology di Boston, ndr)». Insomma, un ottimo risultato. Tanto da ottenere l’onore di essere pubblicato sulla prestigiosa rivista ”Nature Materials”. «Sono molti gli studi simili a quello condotto presso i laboratori della Philips realizzati in questi anni (per esempio quelli della Xerox o della joint venture tra DuPont, Sarnoff e Bell Labs finanziata dal governo Usa ndr)» afferma Michele Muccini, ricercatore dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (Ismn-Cnr). «Ma la vera novità di questo prototipo è il supporto di plastica che garantisce allo schermo la flessibilità. Anche prima dello studio di Gelinck, infatti, erano note le proprietà dell’elettronica organica (basti pensare agli Oled, i led organici). Quello che non si era riuscito ancora a fare era conciliare i polimeri (finora incapsulati in supporti di vetro) con dei ”sostegni” flessibili. Ora, invece, alla Philips sono riusciti a usare come supporto una sottile pellicola di plastica». Pieghevole come un fazzoletto. L’approccio adottato dai ricercatori olandesi è stato quello di trattare delle molecole organiche (carbonio più ossigeno) a basse temperature. In questo modo è stato possibile ottenere una soluzione in seguito ”spruzzata” sul supporto di plastica e quindi intrappolata. Ma esiste un altro metodo. Attraverso un processo di termosublimazione è possibile far evaporare su un supporto le molecole organiche. «I vantaggi dei display di plastica, che non arriveranno sul mercato prima del 2008, sono molti», continua Mobach: «Primo fra tutti l’abbattimento dei costi di produzione. Poi il risparmio energetico: serve pochissima energia per far cambiare l’immagine, mentre per mantenerne una fissa non occorre alcun apporto energetico. E presto questi schermi verranno dotati di tecnologie wireless (senza fili) per consentire la ricezione a distanza di contenuti digitali come potrebbe accadere con un e-book o un giornale elettronico». Le caratteristiche dei display flessibili potrebbero poi migliorare grazie alla recente scoperta di transistor organici in grado di emettere luce compiuta dal gruppo di ricerca di Muccini che coordina un progetto denominato Ilo (Injection Lasing in Organic thin films), finanziato dall’Unione Europea con 3,5 milioni di euro e che vede la partecipazione di centri di ricerca di eccellenza del Vecchio continente e dei laboratori dell’Ibm di Zurigo. «I transistor elettroluminescenti», spiega Muccini, «consentono di migliorare le prestazioni degli Oled rendendo più efficiente l’iniezione di carica nel dispositivo e il bilanciamento tra correnti di segno opposto. Inoltre il transistor emettitore di luce semplifica la tecnologia necessaria a realizzare display flessibili a matrice attiva». Questa scoperta potrebbe accelerare una diffusione su larga scala dei display organici flessibili. Che già ora promettono un successo: secondo le previsioni della società di indagini di mercato californiana iSuppli/Stanford Resources, nel 2003 il giro di affari degli Oled (tra cui quelli usati anche nei display flessibili) è stato intorno ai 215 milioni di euro e nel 2009 questa cifra potrebbe trasformarsi addirittura in circa tre miliardi di euro. «Il transistor elettroluminescente» prosegue Muccini, «può essere applicato in svariati campi, tra i quali l’illuminazione ambientale (pannelli luminosi integrati nelle pareti e costituiti da tanti pixel elettroluminescenti) e le tecnologie per la società dell’informazione». Parallelamente al progetto di Muccini, sempre a Bologna è in corso il progetto Folia (acronimo di Flexible organic illuminators for automotive market), che insieme al centro ricerche Plast-Optica della Seima Italiana Spa (società legata alla Fiat) e alle svizzere 3Ag e Csema e alla britannica Exitech Limited, sta mettendo a punto un sistema di illuminazione basato su film organici in grado di illuminare gli abitacoli delle automobili. Un altro sviluppo dell’elettronica organica è la realizzazione dei microchip plastici. In questo campo una delle società leader è la britannica Plastic Logic, che ha sviluppato una tecnologia per stampare circuiti elettronici usando materiali polimerici. La Plastic Logic usa una stampante a inchiostro per depositare una serie di materiali e strutture che andranno a costituire il circuito finale. «Una delle applicazioni più interessanti», afferma Thomas M. Brown di Plastic Logic, «è quella della etichettatura elettronica, come nel caso degli imballaggi intelligenti, o delle smart card, ricorrendo al Radio Frequency Identification (Rfid), un sistema di identificazione attraverso radiotrasmettitori. La possibilità di fabbricare etichette Rfid a basso costo aprirà un’enorme mercato, sostituendo i codici a barre e arrivando a una ”lettura contactless”, dove non servirà più la scansione di ciascun oggetto». Federico Ferrazza