Jacopo Corsentino, La Macchina del Tempo, maggio 2004 (n.5), 8 maggio 2004
Spesso il castello, nell’immaginario popolare, ha assunto i connotati di luogo animato da sortilegi e fantasticherie, da maghi e fattucchiere, da valorosi cavalieri e dispotici tiranni
Spesso il castello, nell’immaginario popolare, ha assunto i connotati di luogo animato da sortilegi e fantasticherie, da maghi e fattucchiere, da valorosi cavalieri e dispotici tiranni. Basti pensare alla fortuna letteraria e cinematografica che hanno avuto vicende quali le imprese di re Artù e dei suoi prodi cavalieri, le grottesche parodie di cui è stata vittima la vita di corte, e non da ultimo alle trame di numerosi film d’animazione disneyani che hanno attinto a piene mani da un ricettacolo leggendario, proponendoci l’equazione Medioevo = fantastico. Forse è proprio da queste errate convinzioni, radicate nella cultura popolare, che è necessario partire per ridare al Medioevo, e ai castelli, una dimensione più storica e aderente alla realtà. Il castello (o castrum, secondo la storiografia specialistica) fa capolino per la prima volta negli studi ottocenteschi di storia come emblema angosciante di un’epoca oscura e barbara caratterizzata da una accentuata dispersione dei poteri, dal frazionamento dei medesimi ai danni dell’apparato amministrativo pubblico in un clima di generale disfacimento del tessuto connettivo suburbano. Grazie al lavoro compiuto da importanti storici italiani, un secolo fa il castello ha cessato di essere il polo aggregatore di una socialità negativa e gretta e per la prima volta è stato posto l’accento sul legame fondamentale tra castello e territorio a esso connesso e sul castello come terreno fertile per l’origine di consuetudini giuridiche. Bisogna a questo punto chiarire che con il termine ”incastellamento” si intende un fenomeno sviluppatosi in Italia a cavallo tra i secoli IX e XI che offre una risposta concreta a esigenze di natura primariamente economica e solo in un secondo momento a esigenze di difesa. giunto a questo punto il momento di elaborare una schematica tipologia delle esperienze castrensi italiane: • Esiste, innanzitutto, il castello ”di popolamento” che possiamo immaginare come un villaggio abbarbicato a un rilievo o poggio naturale, fortificato e solitamente provvisto, all’interno della prima cinta muraria, di un secondo nucleo fortificato, la rocca o cassaforte, in cui abitavano il signore (dominus) e la sua schiera di armati (masnada) e in cui era posta la sede di una curia vescovile e spesso anche di un vero e proprio esercito al servizio del signore (i milites castri). Tale struttura è la più diffusa, soprattutto nell’Italia centrale, e la più soggetta a cambiamenti o ridimensionamenti. • Una seconda tipologia, più rudimentale, è quella dei castelli ”strategici”: anch’essi fortificati, svolgevano una funzione non di concentrazione e protezione dell’abitato, bensì garantivano il controllo delle frontiere, luoghi di passaggio o di pedaggio di cui abbiamo testimonianza nel caso dei ”castelli-porto” lungo il corso del Tevere. • Il ”ricetto” era invece una struttura fortificata assai diffusa nel Piemonte, ma attestata anche nelle pianure venete, che svolgeva una funzione duplice: immagazzinamento-conservazione dei raccolti e delle provviste alimentari e rifugio per le popolazioni residenti nei dintorni. Anche al ricetto poteva essere unita una residenza signorile. Ripercorrendo dunque la genesi e la densità geografica di un buon numero di fondazioni emergono distintamente le cause principali dell’incastellamento che, semplificando, possiamo distinguere in due gruppi. In primo luogo, sono stati i fattori economici e demografici a indirizzare una politica signorile tesa a rendere più sicure le rendite, riorganizzando i poderi, concentrandoli e riducendo quella tendenza al frazionamento delle proprietà tipica dei secoli VII e VIII. Tale controllo avrebbe reso possibile l’esercizio delle funzioni pubbliche, come l’amministrazione della giustizia, l’esazione delle tasse e la supervisione delle frontiere. Il successo che ha accompagnato tale scelta è dimostrato anche dalla presenza di mercati spesso associati ai castelli e complemento di una economia che non era assolutamente né chiusa né stagnante, bensì aperta agli scambi, alla circolazione monetaria e alla ridistribuzione nelle reti mercantili di quanto i campi producessero in sovrappiù. In secondo luogo, sembrano occupare un ruolo significativo le esigenze difensive e di sicurezza, intese non tanto come una risposta alle invasioni saracene e ungare del X secolo a cui spesso è stato dato troppo rilievo, quanto come strumento per proteggere i vasti possedimenti signorili dal fenomeno del brigantaggio e dalla tendenza al frazionamento territoriale. La fondazione di castelli avviene in un’epoca di ripresa demografica e si inserisce in un programma pianificato di occupazione del territorio. La strategia dei signori è evidente: si trattava di sfruttare nel modo migliore (e più ”produttivo”) una congiuntura favorevole data dall’incremento demografico e dalla mancanza di riferimenti pubblici che consentiva l’appropriazione e il consolidamento di territori vacanti e la ristrutturazione dello spazio coltivato. Jacopo Corsentino