Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  maggio 08 Sabato calendario

Corriere della Sera, martedì 24 febbraio Di questi tempi sono in circolazione 172 emissioni obbligazionarie, effettuate da società italiane, per un controvalore nominale di ottantuno miliardi di euro

Corriere della Sera, martedì 24 febbraio Di questi tempi sono in circolazione 172 emissioni obbligazionarie, effettuate da società italiane, per un controvalore nominale di ottantuno miliardi di euro. Nell’audizione dei banchieri, tenuta venerdì 20 febbraio davanti alle Commissioni parlamentari riunite, è stato spiegato che il ricorso diretto al risparmio del pubblico per finanziare le grandi imprese è una tendenza del capitalismo contemporaneo. Pochi giorni prima, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, aveva ricordato come, tra il 1995 e il 2002, l’incidenza dei corporate bond fosse balzata dal 3,5 al 28,5 per cento dei nuovi finanziamenti. La metà di queste obbligazioni fa capo al gruppo Pirelli-Telecom Italia, poi vengono la Fiat (9,9 miliardi di euro), l’Enel (8 miliardi), Parmalat (7,3 miliardi), Eni (4,9 miliardi), Finmeccanica (4,5 miliardi) ed Edison-Italenergia (2,8 miliardi). Ben 142 emissioni, per circa 70 miliardi, sono avallate da rating più o meno decenti. Il resto, circa 11 miliardi, non ha rating. Privati risparmiatori e investitori istituzionali italiani e internazionali hanno dunque integrato e, non di rado, surrogato le banche nel prestare denari alle imprese. Per gli istituti di credito si è rivelato un notevole vantaggio. Le commissioni spesso sono pingui, come dimostra il caso dell’Ubs che lucra il 5 per cento su un’emissione obbligazionaria di 420 milioni per Parmalat quando il gruppo emiliano sta già andando alla deriva. E vanno subito ad arricchire il conto economico delle banche senza comportare accantonamenti a fondi rischi. Talvolta le obbligazioni offrono anche una scorciatoia per procurare risorse a clienti ai quali era ormai difficile accordare altri fidi. Ma con gli scandali Cirio e Parmalat scatta l’allarme. A dicembre le obbligazioni in circolazione si riducono di quasi 2 miliardi. difficile rimpiazzare quelle in scadenza. Si rischia di tornare all’antico quando la scelta era tra capitale di rischio e prestiti bancari. Ma l’Italia può permettersi una fuga dai bond? Nel 2004 vengono a maturazione corporate bond per 11,5 miliardi dei quali 1,6 senza rating. Entro il 2006 ne dovranno essere rimborsati per 52,8 miliardi di euro, dei quali 8,9 senza rating. Per un pudore formale, in Italia non si usa parlare di junk- bond, titoli-spazzatura, come si fa negli Stati Uniti dove, peraltro, esistono da anni e hanno un loro mercato. Qui non è chiaro se il rating manca perché l’emittente non se lo merita o perché ha voluto risparmiare sulle procedure. Fatto sta che le banche, pur sapendo che non c’è una Parmalat dietro ogni bilancio in rosso, temono di doversi sostituire al risparmio impaurito. Come uscirne? La strada maestra rimane quella dell’assunzione di responsabilità da parte degli azionisti, specie se di maggioranza, e delle banche, che erano venute meno al principio etico di non vendere ad altri quello che non fossero disposte a tenere nel proprio portafoglio. Ma il futuro dei corporate bond dipende anche da quanto verranno tenuti in considerazione i sottoscrittori nel salvataggio Parmalat. Il mondo ci guarda e non è detto che lo spettacolo sia perfetto. Al momento, per esempio, i detentori di obbligazioni rischiano di avere uno o due rappresentanti nel comitato dei creditori Parmalat in gestazione di fronte a 4 banche italiane e 4 estere: una rappresentanza pletorica, perché le banche, indagate o a rischio di indagine, non si fidano l’una dell’altra e tuttavia pretendono che i Parmalat people si fidino di loro e stiano in minoranza, pur avendo il 60 per cento dei crediti. Telecom Italia ha piazzato bene nuovi bond per 3 miliardi. Ma per quanti non hanno una posizione di mercato dominante da dare in garanzia le modalità di salvataggio Parmalat possono far salire o meno il costo dei propri finanziamenti. Massimo Mucchetti