la Repubblica, venerdì 5 marzo, 7 maggio 2004
Ma che cosa pensiamo del suo destino futuro non può aver niente a che fare con lui, la sua faccia, le sue parole pubbliche, i suoi sentimenti segreti
Ma che cosa pensiamo del suo destino futuro non può aver niente a che fare con lui, la sua faccia, le sue parole pubbliche, i suoi sentimenti segreti. affare nostro. Lui aveva 33 anni alle Fosse Ardeatine, ha ora novantadue anni, e quasi altrettanti ne ha la sua moglie malata. Non si tratta di sapere come e dove vivranno, ma dove e come moriranno. Se vogliamo che la notizia, sempre più imminente, ci dica che è morto in un arresto domiciliare romano, o in una casa lontana sua e della sua donna. Nel primo caso pochi ne proveranno una gioia, e sarà comunque amara, molti ne proveranno solo un disagio, a tanti non importerà niente. Io preferisco che se ne sia già andato, che muoia a casa sua. Che qualcuno gli abbia detto, a quel suo viso impietrito: «Se ne va a casa!». Le persone della comunità ebraica romana scusino la mia indiscrezione, ma mi piacerebbe tanto che fossero loro a dire che non è questo che sta loro a cuore, il titolo di ergastolano e il luogo nel quale Priebke lasci questo mondo. E benché il perdono sia un sentimento e un gesto meraviglioso, non è neanche del perdono che si tratta qui, ma di voltare le spalle e il viso alla scena nella quale si consumerà il tempo estremo di uno che si prestò a essere un odioso nemico.