la Repubblica, venerdì 5 marzo, 7 maggio 2004
Non è neanche un accostamento: è la contrapposizione di un mio presunto privilegio alla persecuzione di Priebke
Non è neanche un accostamento: è la contrapposizione di un mio presunto privilegio alla persecuzione di Priebke. Bene, è di questo che parlerò, di Priebke e di me. Vedete quante volte lo riscrivo, lui e me, uno accanto all’altro. Non che mi sia abituato: non ci si abitua mai del tutto. La prima volta fu tanti anni fa, fu il procuratore Borrelli a evocare il paragone, parlando del tempo che passa. Non voglio usurpare una forza che non ho, non sono l’uomo di fil di ferro che dice il mio caro amico Giorgio Bocca. Vomito anch’io: cerco di farlo al riparo della sudicia tendina di plastica che divide in due la mia cella -di qua scrivo, di là mi faccio il caffè, mi lavo, vomito. Lo stesso legno secco. Se voi non lo sapete, vi auguro di saperlo il più tardi possibile. Qualche tempo fa Guido Ceronetti ha scritto cose gentili sul mio conto, e le ha concluse auspicando che usassi della mia voce per chiedere clemenza per Priebke. Non so se fosse un pensiero ragionevole, io ci rimasi male perché avevo scritto più volte, e da molti anni ormai, le cose cui Ceronetti mi invitava. Lo rifaccio, benché immagini facilmente che qualche persona perbene, misurandomi sul proprio metro, mi addebiti un interesse privato: al diavolo.