la Repubblica, venerdì 5 marzo, 7 maggio 2004
Un uomo dal tristo pigiama d’ordinanza e dalla diagnosi infausta che venga liberato, e cada in ginocchio: non occorre sapere chi sia, né chi sia stato, per sentirsene - non dirò fratelli, ma qualcosa di meno e di più, simili, fatti dello stesso legno secco
Un uomo dal tristo pigiama d’ordinanza e dalla diagnosi infausta che venga liberato, e cada in ginocchio: non occorre sapere chi sia, né chi sia stato, per sentirsene - non dirò fratelli, ma qualcosa di meno e di più, simili, fatti dello stesso legno secco. Questa comunanza è una cosa che ci sfugge, fino a che una disgrazia non ci precipiti in una prossimità che abbiamo fatto tanto per sventare, frequentando buone scuole, abitando in buoni quartieri, facendo buone carriere. Un accidente, che ci faccia finire vicini a uno sconosciuto - chissà chi è, chissà chi siamo - in una sala di rianimazione, in un disastro stradale, in una cella di galera. Bene, è durato abbastanza, il preambolo. Ieri - ne ho vista la riproduzione sull’’Unità” - Roma è stata tappezzata di manifesti coi nomi mio e di Priebke, affissi dai promotori di una manifestazione per la grazia al vecchio signore tedesco.