varie, 7 maggio 2004
FERRARI Maurizio Paolo
FERRARI Maurizio Paolo Modena 22 settembre 1945. Terrorista • «In principio era “Maurizio il rosso”, figlio adottivo di Maria Teresa. Lo chiamavano tutti così nella comunità di Nomadelfia di Don Zeno Saltini. Non tanto per quella sua capigliatura accesa che gli infiammava lo sguardo, quanto per come usava andar su di giri dinanzi al minimo torto, alla minima ingiustizia. Ma era già il “compagno Mao”, Paolo Maurizio Ferrari quando venne arrestato a Firenze, il 29 maggio del ’74. Da un paio d´anni era entrato nelle neonate Brigate rosse, e da quindici mesi era latitante. Fu il primo brigatista a finire dietro le sbarre; trent´anni dopo è l´ultimo a uscirne. [...] Mai condannato per fatti di sangue, ha scontato la massima pena per chi non ha mai avuto l´ergastolo; non ha mai chiesto uno sconto, non ha mai usufruito di un solo giorno di permesso premio, né di un beneficio di legge. Non si è mai pentito, né dissociato. In silenzio lascerà la sezione di Alta vigilanza del carcere di Biella, come in silenzio è sempre vissuto in carcere, da “operaio prigioniero”, secondo la definizione che dava di sé. Non ha avvocati di fiducia, non incontra psicologi e educatori, non accetta le visite dei parlamentari. [...] Don Bruno, il cappellano del carcere di Biella, gli aveva fatto sapere tramite un detenuto della sua sezione che la madre Maria Teresa, ormai ultraottantenne e malata, avrebbe voluto incontrarlo. Non ha risposto. Piange Maria Teresa a sentire il nome di suo figlio Maurizio. Lei è una madre di vocazione, come si chiamano a Nomadelfia (il nome, dal greco significa “dove la fratellanza è legge”) le donne nubili che hanno scelto di occuparsi dei figli di nessuno. Un tempo Maurizio era uno dei suoi dodici, uno degli oltre cinquanta ragazzini ai quali Maria Teresa ha fatto da mamma durante la sua vita. “Era il mio preferito” [...] Quel suo figlio caparbio “bello e taciturno” non lo vede dal 1969, da quando andò via, prima a Verona a fare il muratore, poi a Torino e a Milano, operaio alla Richard Ginori e alla Pirelli. L´unica lettera dal suo ragazzo l´ha ricevuta nel 1980. “A mia madre”, le scrisse Ferrari dal supercarcere di Palmi con una grafia minuta e quasi indecifrabile. Spiegava le sue ragioni, lui che era entrato nei Comitati di base rivoluzionari, che aveva dato vita alle Brigate rosse, che era stato accusato di sequestro di persona, rapina e apologia di reato. “Cara madre, cosa ho fatto in questi 12 anni? Ho cercato di lottare come meglio di me hanno fatto milioni di proletari, ieri, oggi e faranno domani. Per trasformare la società... in questo tempo ho capito che bisognava finire di lamentarsi, di aggiustare e di abbellire gli effetti disastrosi che la società dei padroni genera contro la classe oppressa... Certamente l´insegnamento andava nella direzione di aiutare il prossimo. Ma è qui che ho rotto sostanzialmente con Nomadelfia: il "prossimo" che è? Va aiutato, o armato? Cara madre è questo che ho cominciato a fare e continuerò a fare. Sappimi sempre calmo, riflessivo e cosciente. E ancora, che mai e poi mai ho preso un ago, ho torto un capello, e così farò, a uno sfruttato. Invece mi identifico in tutto ciò che è esproprio, guerra ai capitalisti... un abbraccio a tutti. Tu rimani incancellabile... tuo figlio Maurizio”. [...] Non era stato abbandonato sui gradini del duomo di Modena, come lui stesso avrebbe in seguito raccontato ai primi compagni di lotta. Era stato affidato a Don Zeno, quando aveva appena nove mesi, dalla sua mamma naturale, una magliaia di Carpi che, sposata con altri figli, l´aveva avuto fuori dal matrimonio, forse da un tedesco. Sulla vera storia della sua nascita c´è riservatezza. Aldo, il professore che Maurizio adolescente ebbe allo “studentato”, le scuole interne istituite da don Zeno per i suoi ragazzi più grandi, la invoca in nome dei parenti. E di Maurizio che era un ragazzo “buono e sensibile, studioso e intelligente”. In campagna Maurizio cresce con Maria Teresa e con i suoi fratelli d´adozione, lavora alla bonifica della terra. Un impegno duro, pesante, ma che non gli strappa un lamento. Vive poveramente, con più rigore degli altri ragazzi. Indossa sempre gli stessi vestiti e non chiede mai niente. E´ allegro, sportivo. Gli piace andare in bicicletta: nel ’63 vince una gara. Incassa orgoglioso l´attestato. E´ a colori, con la Madonna col bambino in alto, a sinistra. Nel ’64 va a Verona. Lo racconta Beppe. “Don Zeno voleva far costruire le case per la povera gente dai suoi ragazzi. Maurizio fu della partita, fu la prima volta che fece il muratore”. In Italia intanto s´è affacciato il boom economico, ma per Maurizio sono gli anni dell´apprendistato contro le ingiustizie sociali. Il ragazzo beve le parole del prete (Don Zeno era stato riammesso dalla Chiesa nel ’62, per volontà di Giovanni XXIII) che si batte per l´uguaglianza e che considera l´ingiustizia "un peccato sociale". Nel ’66 Maurizio parte per il servizio militare. Va a Bolzano, tra gli alpini, alla caserma Huber. Non gli piace, scrive a don Zeno, lo chiama “caro babbo”. Dice di aspettare con ansia la fine della leva “per buttarmi - promette - insieme ai miei fratelli a fare Nomadelfia, con tanta forza da spezzare anche il mio fisico in due”. Si firma: “tuo figlio Maurizio”. Torna, ma non rimane. Un anno dopo arriva a Nomadelfia un anarchico, un ex capomastro, loquace e conquistatore. “Mi pare si chiamasse Emilio”, racconta Maria Giovanna. “Maurizio si legò molto a lui. Insieme ascoltavano i canti anarchici, facevano lunghe discussioni. Quando Emilio se ne andò alla fine del ’68, qualche mese dopo partì anche Maurizio”. Maurizio viene arrestato a Firenze il 27 maggio 1974. Un´imprudenza, era andato a trovare la sua ragazza, Lucia Oderizzi. Lo prendono a mezzo chilometro da casa, dopo un inseguimento mozzafiato. Dice soltanto: “Sono stato un fesso, pazienza, pagherò”. Lo identificano per un´impronta digitale trovata su uno sportello del furgone usato un anno prima dalle Br per rapire a Torino il sindacalista della Cisnal, Bruno Labate, rilasciato poco dopo rapato e incatenato. Nell´auto di Ferrari, una Fiat 127 blu rubata, trovano una copia del "comunicato numero 8", scritto il giorno del rilascio del magistrato genovese Mario Sossi, avvenuto quattro giorni prima. Maurizio Paolo Ferrari entra in carcere, per non uscirne più. Scrive: “Sono un militante comunista cresciuto nelle lotte operaie, dal ’69 a oggi. Da sempre le galere sono terreno rivoluzionario. Non mancherò dunque di essere al mio posto di lotta”. Don Zeno gli riconosce coerenza, con il suo stile ruvido di prete di frontiera che non fa troppe distinzioni. “Maurizio il rosso si batte, lui non è mica un delinquente”, dice pubblicamente nel ’76 durante un Congresso ad Arezzo. “È uno che fa la guerra, un soldato”. E l´anno dopo, agli esercizi spirituali per i sacerdoti di Nomadelfia, arriva addirittura a ribadire: “Non so se il nostro ragazzo, Maurizio, sia un delinquente. Io penso di no, penso che è un guerriero, che combatte contro i suoi nemici”. Don Zeno muore nel 1981. Nel ’78 Ferrari diventa il portavoce del nucleo storico delle Br al processo di Torino. Viene condannato a 21 anni. Nel 1984 ne prende altri cinque per aver partecipato nel ’79 alla rivolta nel carcere dell´Asinara. Intanto Lucia, la sua ragazza, ha avuto un´altra storia e una figlia, ma continua a occuparsi di Maurizio. Va a Nomadelfia, conosce Maria Teresa e Maria Giovanna. E´ a Lucia che scrive Maria Teresa nel novembre 1980, vuole andare a Palmi a trovare Maurizio e vorrebbe fare il viaggio con lei. La ragazza risponde: “Maurizio, in questi anni, è diventato una persona molto diversa e ritiene che un incontro non abbia alcun senso. Penso che riuscirai a capirlo e a rispettare la sua scelta”. Maria Teresa comprende e si fa da parte. Nel 1982 Ferrari, dal carcere, chiede ai “carissimi” di Nomadelfia di rinunciare alla sua tutela a favore di Lucia. Lo strappo è consumato. Non la memoria» (Silvana Mazzocchi, “la Repubblica” 7/5/2004).