Varie, 5 maggio 2004
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GIAP VO NGUYEN An Xa (Vietnam) 25 agosto 1911. Generale. «Un’icona vivente: il passo incerto, la figura fragile
GIAP VO NGUYEN An Xa (Vietnam) 25 agosto 1911. Generale. «Un’icona vivente: il passo incerto, la figura fragile. Ma lo sguardo è diretto, e si fa intenso quando veniamo a parlare di strategia. Con mano ferma tratteggia su un foglio la carta del Vietnam, per spiegare come contro il parere generale ha cambiato il ”piano operativo”, per espugnare Dien Bien Phu, il 7 maggio 1954. [...] ”Dobbiamo assolutamente vincere”, gli aveva detto il presidente Ho Chi Minh al momento di affidargli i pieni poteri operativi e inviarlo al suo quartier generale di campagna, non lontano dalla conca che i francesi, fin dal 1953, avevano trasformato in campo fortificato. ”Mi ha detto queste precise parole: ”Attaccherai soltanto quando sarai sicuro di vincere’”. Giap giunge sul posto il 12 gennaio 1954, e quarantott’ore dopo dà le disposizioni per la battaglia. La parola d’ordine è: ”Rapido attacco, rapida vittoria”, o anche ”Tre notti e due giorni”. ”I comandati vietnamiti erano tutti d’accordo. L’entusiasmo era generale, e ho lasciato che le mie truppe si disponessero per combattere; ma personalmente - aggiunge - non credevo a questo piano”. Giap ordina di moltiplicare le operazioni di ricognizione. ”Un comandante mi dice che in basso le postazioni d’artiglieria sono troppo esposte all’aviazione nemica. Il capo della divisione 312 mi segnala che il nemico ha rafforzato le sue difese. Ogni giorno, vengo a sapere che qualcosa è cambiato. I francesi scavano trincee, rafforzano le barriere di filo spinato e così via”. Dien Bien Phu, spiega, era diventato un campo fortificato. ”Chiedo il parere del capo dei nostri consiglieri cinesi, e lui mi dice: ”Ha ragione di ponderare il pro e il contro’. Di fatto però, i cinesi preconizzano un’azione rapida”. L’attacco è previsto per il 25 gennaio alle 17.00. Ma Giap si concede un rinvio di altre 24 ore, e ne approfitta per sondare il suo stato maggiore. ”Il capo della logistica fa presente che siamo a 500 km dalle retrovie, e che un ulteriore rinvio comporterebbe difficoltà per i rifornimenti. E ha ragione: portare al fronte un chilo di riso per i soldati vuol dire consumarne quattro durante il trasporto. Non so se rendo l’idea: per il trasporto abbiamo utilizzato 260.000 portatori, più di 20.000 biciclette, 11.600 zattere, 400 camion e 500 cavalli”. Nonostante la sua propensione alle azioni rapide, Giap tiene duro, anche quando ”i responsabili politici e della propaganda” presso le truppe gli fanno presente ”che qualora si cambiassero i piani, sarebbe molto difficile” spiegarlo ai soldati. ”Siamo sicuri della vittoria al 100%?” chiede allora Giap ai membri del suo stato maggiore. ”Hanno avuto qualche difficoltà a rispondere” spiega. ”Allora, se voi non siete sicuri al 100%, io decido di cambiare il piano operativo e ordino di ritirare le truppe, artiglieria compresa”. Il dibattito è chiuso. ”E’ stata la decisione più difficile della mia vita di comandante in capo” riassume Giap. Un colpo di genio però: l’attacco verrà sferrato ben due mesi dopo, il 13 marzo, e il Posto di Comando del generale de Castries sarà occupato il 7 maggio. ”A distanza di tempo ho chiesto al capo dell’artiglieria vietnamita a Dien Bien Phu se quella scelta lo avesse sorpreso. ”Assolutamente no. Ne sono stato felicissimo: la situazione era molto pericolosa’. Me lo ha detto dieci anni dopo”, dice Giap ridendo. Quindi osserva: ”Se non avessi cambiato i piani, saremmo andati incontro a una sconfitta totale, come hanno dimostrato gli sviluppi militari successivi”. significativa soprattutto la prontezza con cui quel piccolo esercito, creato da Giap solo dopo la seconda guerra mondiale e già sottoposto a una serie di enormi sforzi, esegue gli ordini senza batter ciglio. L’autorità di Giap sembra indiscussa. Comanda alla divisione 308 di marciare verso Luang Prabang, la regia capitale del Laos, per ”attirare l’aviazione francese”. ”Ho detto al capo della divisione 308 che lasciavo a lui il compito di fissare il numero di uomini da ingaggiare e di gestire la logistica. ”Tutto chiaro. Eseguo gli ordini’, mi ha risposto”. In gioventù insegnante di storia ad Hanoi, Giap ha fatto tesoro delle esperienze degli strateghi vietnamiti che nel corso dei secoli hanno inflitto brucianti sconfitte agli invasori cinesi. Ma è anche un ammiratore di Napoleone, o più esattamente di Bonaparte. ”E’ diventato imperatore grazie alle sue doti militari, ma ha perso la battaglia politica”, osserva. Poi, dopo una pausa, esclama: ”Il ritorno dall’isola d’Elba è formidabile!” In che senso? ”La sua autorità personale”, risponde senza esitare. Si riferisce alle truppe inviate da Luigi XVIII per sbarrare la strada all’imperatore, che invece passano dalla sua parte. Un’allusione ai rapporti stabiliti dal generale Giap con i suoi ufficiali e soldati? Nelle battaglie vinte da Bonaparte sottolinea l’elemento della ”concentrazione delle truppe”, e soprattutto l’’effetto sorpresa”. Dopo il rinvio dell’attacco contro Dien Bien Phu, gli era capitato di sentire il generale Henri Navarre, capo del corpo di spedizione francese, dichiarare alla radio: ”La marea offensiva del Vietminh è in fase di stanca”. E aggiunge con un largo sorriso: ”Quando abbiamo attaccato, il 13 marzo, Navarre è stato preso completamente di sorpresa”. Tornando a Bonaparte, sottolinea una differenza importante: ”Ho sempre detto che la nostra strategia militare era subordinata alla nostra lotta politica”. A suo parere, questa riflessione denuncia i limiti dell’impresa napoleonica. Al tempo stesso però, Giap non nasconde la sua ammirazione per le qualità militari del francese. ”Durante la campagna d’Italia aveva detto: ”Dove passa una capra può passare un uomo. Dove passa un uomo può passare un battaglione’”. Intende dire con questo che sulle montagne del Vietnam, dove poteva passare un portatore potevano passarne anche 10.000? E così come si trasportava una bicicletta si potevano portare a spalla pezzi d’artiglieria? Rammentando le 20.000 biciclette e i cannoni issati a forza di braccia sulle colline, il generale sorride di nuovo: ”Si ricordi lo slogan: ”Tutto per il fronte, tutto per la vittoria’?”» (Jean Claude Pomonti, ”la Repubblica” 5/5/2004).